Alcide De Gasperi: uno dei pochi veri statisti della storia moderna d’Italia e d’Europa.

Il suo ricordo diventa oggi un motivo in più di riflessione sulla politica italiana. Tanto essa ha perso quel ragionare, quell’agire superiore e quella tensione ideale che il cittadino si aspetta da chi lo rappresenta e guida le  istituzioni. Una riflessione resa ulteriormente convulsa da una crisi inspiegabile, dai risvolti persino oscuri.

Molto di quello cui assistiamo è lontano dall’esempio di De Gasperi, uomo lineare, retto, coerente e dalla visione ampia ed ardita. In questi nostri giorni, quasi tutto  è giocato sulla rincorsa delle piccole e non durature cose del contingente, sulle pulsioni demagogiche, su una sostanziale mancanza di passione civile.

Colpisce la divaricazione tra impegno politico e una motivazione etica pubblica che dovrebbe ispirare il vincolo verso la cosa comune. Lo spirito di servizio si trasforma in mera ricerca di un consenso immediato e a tutti i costi.

Il prezzo è quello di seguire un machiavellismo maccheronico ed opportunista e smarrire quella più ampia proiezione capace di indicare e perseguire una prospettiva in cui la maggior parte dei cittadini possano sentirsi coinvolti.

De Gasperi, come le grandi figure destinate ai grandi libri di storia, e non certo alla sola cronaca dei nostri giornali o del web dozzinale, delineò con i fatti una concezione dell’agire politico ricco di umanità e spiritualità cui egli non venne mai meno. Neppure nei tanti momenti di difficoltà e incertezza costretto ad affrontare, da solo o con i colleghi di governo o di partito.

Fermo contro ogni visione totalitaria. Che fosse d’impronta fascista o comunista non faceva alcuna differenza. La sua fu in primo luogo scelta di libertà e di democrazia partecipata, inclusiva, di rispetto ed attenzione ai delicati equilibri internazionali e a quanto di critico era emerso nel Paese all’indomani di una cruenta guerra civile.

Approfittò dell’evidente andamento del mondo dei suoi tempi per portare il Paese, finalmente, nel solco delle grandi democrazie occidentali.

Dovette cercare il sostegno di quelle democrazie in un quadro complesso in cui si stagliavano anche forze non pienamente convinte dalla possibilità di risolvere vecchie e nuove questioni italiane sulla base di una opzione pienamente democratica e di pacificazione.

De Gasperi non ebbe mai alcun dubbio sul fatto che non bastasse adagiarsi opportunisticamente su quel sostegno. Certamente decisivo, ma non per questo esaustivo nell’affrontare i problemi interni e quelli ancora in essere con i paesi vicini, a proposito dei quali permanevano motivi di preoccupazione e di crisi.

Fu sempre convinto che una rinascita autentica del Paese dovesse essere assicurata da un definitivo impegno per la libertà, per la democrazia. Vedeva fondamentale la partecipazione alla politica e alla vita delle istituzioni di sempre più ampi settori della vita civile e della società. Non voleva un riconoscimento e un diritto all’esistenza solo per il suo partito o per la sua visione politica.

Il sostegno delle altre democrazie a un’Italia tutta da ricostruire non era affatto scontato. Basta ricordare l’isolamento da lui vissuto nel corso della Conferenza sulla Pace di Parigi del 1946.

Forti erano le pressioni affinché la scelta di campo da parte italiana, semmai fosse necessario, avvenisse eventualmente anche attraverso un violento e definitivo scontro con la sinistra, come quello che si stava già verificando in Grecia in quello stesso ’46 e sanguinosamente destinato a durare fino al ’49.

De Gasperi fu capace, assieme, di superare la dura e perdente esperienza fascista e quella, altrettanto non sostanzialmente democratica e popolare, legata all’intera fase  liberal – monarchica del dopo 1870.

Riannodò fili rimasti spezzati per decenni. Contribuì in maniera fondamentale al getto di quelle fondazioni di un quadro democratico sconosciuto fino ad allora da un’Italia per larghe parti rimasta prossima al sottosviluppo. Creò i presupposti per una ricomposizione di tanti interessi, in taluni casi fortemente contrapposti. Una ricomposizione fondamentale per dare corso ad un sistema di alleanze politiche e ad un assetto istituzionale ed economico certo e duraturo.

Egli andò in maniera decisa e definitiva alla sostanza di alcuni dei ritardi storici del Paese. A partire da quello che riguardava la classe dirigente e l’apparato dello Stato. Grazie a lui, finalmente, sia pure con quei disequilibri propri di ogni fase di passaggio, l’Italia poté fare i primi passi per entrare nel novero degli stati moderni.

Da qui la sua convinta adesione al Patto Atlantico. Anche il sostegno alla politica economica di Ezio Vanoni, a lungo suo ministro delle Finanze e del Bilancio e padre della omonima legge diretta a introdurre un più equo e moderno sistema di tassazione, alle riforme agrarie di Antonio Segni contro il latifondismo e dirette a favorire la nascita di piccoli proprietari e l’aumento della produzione, ai progetti di Amintore Fanfani in materia di edilizia popolare, a Enrico Mattei che sviluppò l’Eni, nonostante le forti pressioni contrarie anglo americane e francesi, quando divenne chiara l’importanza strategica per lo sviluppo dell’economia italiana che quel cambio di politica energetica significava.

De Gasperi  seppe condurre con decisione, accortezza, sapienza e, con un pizzico di arguzia, i più importanti passaggi affinché il processo di allargamento delle basi democratiche del Paese procedesse nella maniera più solida e condivisa possibile.

Ecco perché volle che la scelta tra Monarchia e Repubblica avvenisse attraverso un referendum. La definizione di un assetto istituzionale tanto decisiva non poteva essere lasciata a un ceto politico ristretto e che ancora doveva guadagnarsi un pieno riconoscimento internazionale e popolare. Inoltre, ritenne che solo dopo il responso delle urne si potesse giungesse al superamento di quella divaricazione tra i settori cattolici rimasti legati alla Monarchia e quelli dichiaratamente repubblicani. Questi ultimi, provenienti soprattutto dalle regioni centro settentrionali, erano parte di quel ” vento del Nord” che voleva con decisione gonfiare le vele della neonata democrazia italiana.

Ecco perché immediatamente dopo quel risultato assunse immediatamente le funzioni di Capo provvisorio dello Stato, impedendo così ogni possibile rigurgito anti democratico e anti repubblicano.

Allo stesso modo, De Gasperi non ebbe dubbi nell’accettare il suffragio elettorale generale e prevedere il voto anche per le donne, a partire dal referendum del giugno ’46, sulla scia di quanto già applicato nelle precedenti elezioni amministrative del marzo di quello stesso anno.

Importante la prima formazione politica del futuro Presidente del Consiglio e Segretario della Dc nel Parlamento austriaco di Vienna.

Rappresentante di una minoranza, egli visse in un contesto in cui si trovavano a coesistere tante etnie e  tanti popoli diversi. Questa sua familiarità con la ” diversità”, con la non completa coincidenza di culture, atteggiamenti e sensibilità private e pubbliche potrebbe essere stata decisiva nell’affrontare il problema delle tante specie di ” minoranze” presenti nel Paese. A partire da quelle legate all’irredentismo tedesco in Alto Adige, cui fu dedicato l’accordo  firmato assieme all’austriaco Karl Gruber.

Questa sua particolare sensibilità servì anche ad allentare la tensione con la vicina Jugoslavia di Tito e, pure, ad avviare una riconciliazione con i popoli austriaco e tedesco.

E’ uno dei padri dell’Europa. Vide in essa la possibilità di assicurare una Pace rimasta offesa ciclicamente nel corso dei secoli. Un’Europa di passioni positive. Animata dalla solidarietà, dalla cooperazione, dal coinvolgimento in una crescitita comune e congiunta in grado di sopire le spinte egoistiche e nazionalistiche sempre pronte a tornare sulla scena con il loro volto dai tratti inquietanti, fatti di revanscismo e bellicosità.

Nella politica interna, a differenza di tanti nostri politici attuali, volle sempre anteporre l’interesse generale a quello di parte.

Fece della mediazione e del sistema della coalizione gli strumenti di rafforzamento del quadro democratico. Senza che per questo gli mancasse il coraggio di dire pure dei “ no”, quando necessario, nonostante situazioni persino dolorose sul piano umano e politico che quei “ no” comportavano.

Famose le calde lacrime che gli procurava la rude incomprensione dell’ambasciatrice statunitense a Roma,  Claire Luce, e quella freddezza nei confronti del suo operare che, con continuità, registrava tra i vertici vaticani.

Un qualcosa che giunse quasi alla rottura definitiva si determinò  a causa della cosiddetta “ operazione Sturzo” del 1952. De Gasperi rifiutò di dare vita a Roma a una lista collusa con la destra per evitare che la Città eterna finisse amministrata dalle sinistre.

Ebbe elettoralmente ragione De Gasperi, ma i suoi rapporti con Papa Pacelli non si rasserenarono più e la cosa lo portò a confidare a Pietro Nenni di sentirsi un “ tollerato” dai vertici della Chiesa. Si giunse al punto che gli venne rifiutata un’udienza con il Papa.

De Gasperi reagì scrivendo all’ambasciatore italiano di allora presso la Santa Sede: «Come cristiano accetto l’umiliazione, benché non sappia come giustificarla; come presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, la dignità e l’autorità che rappresento e di cui non mi posso spogliare, anche nei rapporti privati, m’impone di esprimere stupore per un rifiuto così eccezionale e di riservarmi di provocare dalla Segreteria di Stato un chiarimento».

Un De Gasperi, quindi, profondo credente, cittadino, uomo di stato, senza contraddizioni. Segno evidente di come lo statista trentino rappresentasse quella figura di laico pieno di fede che, parte viva della Chiesa, ha la libertà di sviluppare nel mondo la forza creatrice e vivificatrice dell’ispirazione cristiana senza pulsioni integraliste o clericali. Ciò che sarà sancito dal Concilio Vaticano II destinato, però, ad iniziare solo otto anni dopo la sua scomparsa.

In ogni caso, la conferma di come fosse andato evolvendo nel mondo politico cattolico italiano quel processo di definizione di un’autonomia basata sul pieno rispetto della distinzione tra i diversi piani della fede e dell’impegno nella cosa pubblica.

Un’ultima riflessione sulla dimostrazione più evidente di come si possa essere leader, senza la pretesa di essere “ capo”.

Alcide De Gasperi non ha mai comandato. Semmai, ha sempre sviluppato quelle capacità di mediazione necessarie a chi guida senza pretendere cieca obbedienza. Nella sua Dc il confronto tra le tante anime presenti cominciò a farsi sempre più ricco, ma tutti ebbero lo spazio e le opportunità adeguate.

Al momento del dunque, superò la divaricazione con i giovani “ dossettiani” lasciando che nuove leve emergenti si mettessero “ alla stanga” e finissero persino per prendere la guida del partito che tanto doveva alla sua capacità politica e alla sua abnegazione.

De Gasperi non utilizzò mai la propria autorevolezza, sarà questo anche il tratto di Moro, per imporre decisioni e mai gli passò per la testa di utilizzare il gioco delle tessere per condurre giochi pasticciati e d’interesse.

Così, a De Gasperi possiamo guardare non come ad una icona imbalsamata, ma ad un patrimonio di pensiero e a un metodo di azione cui dare oggi l’adeguata applicazione nella politica dell’oggi.

Lo stesso vale per quel ragionare politico, quel realismo, quella ragionevolezza e quella concretezza necessarie a chi vuole partecipare alla vita politico istituzionale puntando su  un cambiamento reale dell’esistente che non funziona e che necessita di trasformazioni, se necessario, anche radicali.