ALLE ELEZIONI CON VERVE UNITARIA. IL 25 SETTEMBRE DELLA DESTRA ALL’INSEGNA DELLA (FALSA) COESIONE. 

A un osservator attento non può sfuggire l’evidenza dei fatti. La coalizione a guida Meloni vuole apparire unita, ma la realtà è un’altra.

 

La destra assume l’unità a sigillo della propria forza, almeno prova a farlo grazie anche all’entusiasmo di chi sente il vento in poppa. Tuttavia si tratta di una coalizione che risorge dalle ceneri delle sue stesse contraddizioni, profonde e vistose, avendo Lega e Forza Italia vissuto l’esperienza di unità nazionale e Fratelli d’Italia, per contro, la sua negazione. Negli ultimi diciotto mesi – Draghi Presidente del Consiglio – metà coalizione è stata al governo e l’altra metà all’opposizione. Tutto questo appare cancellato, di colpo, come per magia: la battaglia elettorale consacra un’immagine di disciplina.

Qualcosa però non quadra nella rappresentazione che si vuole baldanzosamente proporre.

Anzittutto l’unità dovrebbe essere assicurata dal riconoscimento, stabilito nell’ultimo vertice, che al partito più votato spetta designare il capo del governo. Naturalmente non è sfuggito ai commentatori politici più attenti la sostituzione di “esprimere” con “designare”, stante la preccupazione di Lega e Forza Italia a riguardo della candidatura a premier di Giorgia Meloni. L’accordo, insomma, rinvia alla fase post elettorale dal momento che  l’automatismo rivendicato da Fratelli d’Italia – il leader del partito più votato guadagna il titolo di Presidente del Consiglio in pectore – non ha più niente…di automatico.

Ora, per giunta, Berlusconi punta i piedi, anche se con diminuita forza di seduzione mediatica. Nulla è scontato. “Sarà Forza Italia – dice infatti a Zona Bianca (Rete 4) l’anziano leader degli Azzurri – ad indicare il premier perché io scendo in campo anche stavolta in una campagna elettorale come ho fatto diverse volte perché sento dentro forte il dovere di farlo e quindi gli faremo una campagna elettorale in cui cercheremo di far pervenire agli italiani tutte le motivazioni che avrebbero nell’indicare noi con loro voto”.

Poi ci sono i programmi, che aggrovigliano e complicano le relazioni all’interno dell’alleanza. Cosa si fa sul piano economico? Rispetto alla cosiddetta Agenda Draghi già s’intravede la voglia di un “andare oltre”, che tradotto significa prendere da essa le distanze. È un atteggiamento, questo, che incrocia la coerenza della Meloni, ma contempla al tempo stesso l’ambiguità di Salvini e Berlusconi, compartecipi della definizione e gestione dell’Agenda. Bisognerà anche capire se la proposta leghista di uno scostamento di 50 miliardi per finanziare interventi a sostegno di imprese e famiglie entrerà nel paniere della campagna elettorale. Draghi non ne voleva sapere, visto l’alto debito dell’Italia. E pure la Meloni oggi frena.

Infine, come si registra in queste ore, pesa il dilemma delle interferenze russe. Una bazzecola! È in gioco davvero  l’indipendenza e la credibilità dell’Italia. Anche in questo caso scattano le divisioni sotterranee, con Salvini  sospettato di “prendere ordini” da Putin e la Meloni impegnata a rassicurare gli USA sulla tenuta della solidarietà atlantica. Vogliamo aggiungere a questo la discussione sul futuro dell’Europa? Berlusconi fatica ad esercitare il ruolo di garante dell’europeismo agli occhi del Partito Popolare Europeo (PPE) e, più in generale, delle varie istituzioni di Bruxelles.

È questa la coalizione unita?