Alta tensione fra americani e cinesi. E l’Ucraina? Una pedina sullo scacchiere della minacciata guerra mondiale.

Il prossimo anno Biden sarà in campagna elettorale e dunque non potrà cedere di un millimetro su nessun dossier, tanto meno su quello cinese. Da ambo le parti si alzano i toni. Per non lasciare margini di manovra agli americani, Pechino conferma la cosiddetta “amicizia senza limiti” con Mosca.

Enrico Farinone

La piega che stanno assumendo le relazioni sino-americane comincia a farsi preoccupante. Ricordiamo che sullo sfondo c’è la questione di Taiwan, fonte di un possibile conflitto che farebbe impallidire quello che si sta svolgendo in Ucraina. Ed infatti l’ultimo ammonimento del Dragone agli americani prevede uno “scontro con esiti catastrofici” se gli USA non fermeranno la loro distorta “strategia di accerchiamento e repressione” attuata nei confronti degli interessi cinesi.

Dunque, riassumiamo brevemente gli ultimi eventi. Un colloquio Biden-Xi nell’ambito del G20 di Bali lo scorso novembre aveva dischiuso le porte della Città Proibita al Segretario di Stato americano, che avrebbe infatti dovuto varcarle qualche settimana fa. L’obiettivo principale del viaggio avrebbe dovuto consistere nel raffreddare le tensioni fra i due Paesi, incandescenti dopo la visita a Taiwan dell’allora Presidente del Congresso Nancy Pelosi lo scorso agosto. Ma naturalmente Anthony Blinken avrebbe anche sondato il regime sui suoi reali obiettivi derivanti dal sostegno fornito alla Russia a parole, solo a parole sinora, in merito alla guerra in Ucraina.

La nomina dell’ex ambasciatore a Washington Quin Gang a Ministro degli Esteri induceva a un cauto ottimismo. Le manovre militari intorno a Taiwan erano diminuite, altro indicatore positivo.  Poi è accaduto l’imponderabile, proprio alla vigilia del viaggio programmato. Un “pallone-sonda” di origini cinesi avvistato nei cieli americani sospettato d’essere un nuovo e sofisticato mezzo-spia e per questo prontamente abbattuto dai caccia del Pentagono ha bloccato tutto. Biden non poteva lasciar correre, per motivi evidenti di politica interna. Avesse abbozzato sarebbe immediatamente stato accusato di debolezza innanzi all’infido avversario asiatico. Xi da parte sua ha letto l’episodio come la conferma dei suoi sospetti circa la volontà statunitense di bloccare ogni possibile sviluppo dell’influenza cinese nell’area del Pacifico.

I risultati si sono visti subito. Il direttore dell’ufficio della Commissione centrale per gli affari esteri del Partito Comunista, Wang Yi, ha raggiunto Monaco di Baviera per la Conferenza sulla Sicurezza dopo aver visitato alcune capitali europee, fra cui Roma, per denunciare l’insofferenza cinese nei confronti dell’eccessivo protagonismo degli Stati Uniti nella guerra fra Russia e Ucraina, ostacolando così – a suo dire – la possibilità di avviare proficui negoziati di pace sulla base di un Piano preparato allo scopo da Pechino. Ben sapendo che i paesi del Vecchio Continente sono assai sensibili alle possibilità commerciali che la nazione più popolosa del mondo offre loro, ed è per loro difficile rinunciarvi. Per contro gli americani temono – o quanto meno dicono di temere – che Xi abbia deciso di vendere armamenti a Putin, cosa per ora non avvenuta.

Dopo le schermaglie di Monaco è arrivata l’accusa durissima agli USA per bocca di Qing Gang, colui che si voleva essere una colomba e invece si è rivelato alla prima uscita un falco. Indice preciso dell’attuale posizionamento di Xi, più vicino a Mosca e più lontano da Washington. Una brutta notizia per quanti da mesi immaginano proprio la Cina quale possibile e determinante facilitatore di pace nella vicenda ucraina. Non solo. Ora anche quella di Taiwan si complica.

“Linea rossa da non oltrepassare”, ha avvertito Qing Gang. Al Pentagono – pare – sono sempre più convinti che entro un quadriennio Pechino deciderà l’attacco all’isola che ritiene “parte del sacro territorio della Cina”. E che Washington invece si è impegnata a proteggere. Possibile si vada avanti così ancora per un po’. Sino all’elezione del nuovo Presidente americano. Il prossimo anno Biden sarà in campagna elettorale (per sé o per un compagno di partito) e dunque non potrà cedere di un millimetro su nessun dossier, tanto meno su quello cinese. Ma una volta confermato l’atteggiamento potrebbe mutare oppure un altro Presidente, repubblicano, potrebbe avere un approccio più conciliante. Difficile, ma pur sempre possibile, ritengono a Pechino. 

Quindi si alzano i toni, e si aspetta. E per non lasciare margini di manovra agli americani si conferma la cosiddetta “amicizia senza limiti” con Mosca, le due capitali insieme per costruire “un sistema internazionale più democratico”: confermando così la politica volta a tessere alleanze con nazioni e continenti (l’Africa) fuori dall’ordine globale voluto dalla Casa Bianca. Tenere quest’ultima impegnata con l’Ucraina significa – ragiona Xi – tenerla un po’ più lontana da Taiwan, il vero obiettivo del Presidente cinese. E così l’Ucraina si ritrova ad essere una pedina sullo scacchiere della futura minacciata nuova guerra mondiale. Che si continui a morire e a distruggere un intero Paese pare importare davvero poco.