Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Il Manifesto di Zamagni e l’attività speculativa sul piano culturale di alcuni intellettuali ed opinionisti di formazione cattolica hanno riaperto un dibattito che Il Domani d’Italia ha puntualmente e correttamente ospitato e veicolato nei mesi passati.
Al riguardo dobbiamo registrare in queste ore gli interventi interessanti,ancorchè contrastanti, di altri osservatori attenti e sensibili alle questioni sollevate all’interno del più generale dibattito del quale Rete Bianca ed altre realtà di ispirazione cattolica sono stare le prime protagoniste.

In particolare Paolo Corsini, come “cattolico di tradizione non democristiana”,nel suo ultimo articolo su Il Giornale di Brescia dapprima si pone il problema della presenza dei cattolici nella politica odierna che definisce,tout court, “una politica senza i cattolici”, e successivamente,in chiusura,auspica nemmeno troppo velatamente l’inveramento di una “democrazia dei cattolici”, così come immaginata da Pietro Scoppola, mediante un più marcato impegno politico all’interno del Partito Democratico, a suo dire portatore di comuni e condivisi valori “neoumanistici”.

A Corsini, su Il Domani d’Italia, risponde garbatamente,ma non per questo meno decisamente, Giuseppe Ignesti, altro fine intellettuale cattolico, che affronta il tema utilizzando una cifra dialettica palesemente meno laica e dichiaratamente più ecclesiologica.
Infatti Ignesti,portando persino D’Alema a sostegno della sua tesi della scarsa ed acclarata utilità politica e culturale di un rinnovato tentativo di quella contaminazione di idee e di comportamenti che era alla base del Partito Democratico del Lingotto,nega la validità di un tale progetto a causa, principalmente, del “prevalere nella vita interna di quel partito di logiche di appartenenza ai vecchi ambienti che lo compongono”.

Insomma, per semplificare, gli eredi del Pci-Pds-Ds pretendono di esercitare, e lo fanno, una egemonia politica più che culturale nei confronti di quanti non mutuino le loro posizioni da quella storia e da quel percorso, in particolare verso gli uomini e le donne provenienti dalla esperienza cattolico democratica e più precisamente dalla vasta platea rappresentata dalla militanza partitica ex ex democratico-cristiana.

Al riguardo,pur concedendo a Ignesti di non sbagliare completamente nel suo ragionare,credo sia naturale, oltreché opportuno,svolgere alcune riflessioni a confutazione.
Soprattutto perché le argomentazioni di Ignesti, semplici ma non semplicistiche,appaiono come il frutto di una insufficiente conoscenza della fattuale realtà del Partito Democratico.
Tempo fa,in una analoga risposta a Giorgio Merlo che, registro,negli ultimi manifesta di aver maturato una diversa posizione,scrivevo che” il Partito Democratico non era all’inizio un moloch espressione della Sinistra postcomunista, anche se alcuni,con qualche ragione,continuano a ritenere che forse lo sia ora, giacchè recenti vicende interne alla stesso Partito sembrano inviare,a loro giudizio,segnali preoccupanti in tal senso”.

Scrivevo allora,e continuo a pensare ancora, che ”il Partito Democratico non è stato un evento naturale,presentatosi nella forma che gli elementi costituenti,anch’essi naturali,gli hanno conferito.
Il Partito Democratico è stato, ed è ancora, una creazione umana, e come tale è fallibile e modificabile”.

Nel momento topico,subito dopo il Lingottto, ma in verità anche prima,ai tempi dell’Ulivo e della Unione,molta parte del cattolicesimo impegnato in politica ha rigettato l’idea di avventurarsi,working in progress, su di un percorso culturalmente faticoso ed anche umanamente difficile.
In molti hanno preferito il facile ed comodo rifugio offerto gratuitamente da una destra rappresentata da un Berlusconi ancora col vento in poppa e da un apparentemente non più nostalgico Gianfranco Fini.

Una scelta,a mio parere,decisamente infelice pur se legittima,della quale non era stata considerata la potenzialità in ordine ad un clamoroso effetto sul popolo del non voto,su quella parte dell’elettorato “moderato” che,negli anni successivi si sarebbe sentita sempre più non rappresentata,con le conseguenze politiche e sociali che ogni giorno registriamo.
Questo atteggiamento ha contribuito a che il Partito Democratico non fosse, e forse non sarà nel prossimo futuro, nemmeno quello ipotizzato dal Walter Veltroni,per i marchiani errori di tattica e di strategia commessi da una parte e dall’altra della comunità politica così costituitasi e per la miopia politica spacciata per recupero minimo di identità ideologica.
La sconfitte subite da Matteo Renzi nel Referendum Istituzionale e nelle Elezioni Politiche del 2018 e lo svolgersi delle vicende politiche che da esse originano,fino alla confusa ed instabile situazione di Governo e Parlamento attuale,lasciano credere ad alcuni, collocati a sinistra del duo Salvini-Meloni, che ci sia spazio per una alternativa identitaria“di sinistra” tradizionale in grado di presentarsi autonomamente come forza di governo ed è facile rilevare come su questa posizione si stiano collocando i molti favorevoli ad una riforma della legge elettorale in senso proporzionale, sia pure con uno sbarramento di misura al momento controversa.

Con altrettanto scetticismo,però,io mi interrogo sulla possibilità,e sulla reale utilità per il Paese,del ritorno sulla scena politica e parlamentare di un partito di ispirazione cattolica,per comune ammissione di consistenza numerica ridotta,forse ai limiti della soglia di sbarramento di cui sopra,che possa costituire un efficace antemurale al populismo sovranistitico e nazionalistico dominante,magari riportando al voto quella massa cospicua di italiani che da troppo tempo disertano le urne elettorali.
E’ un progetto credibile e realizzabile o è l’illusione,in qualche caso un poco narcisistica,di chi ha cuore il valore assoluto della propria testimonianza a discapito del possibile bene del Paese?

E, in conlusione, non sarebbe meglio, come sembra auspicare Corsini, lavorare sulla struttura del Partito Democratico per farne un soggetto politico veramente democratico, liberale, popolare, laico, riformista ed europeista in grado di muoversi nel solco segnato dalle grandi culture politiche e sociali del’900 correttamente e modernamente intese?

Considerando anche che nel Partito Democratico c’era sì Massimo D’Alema,ma c’erano,e ci sono ancora, tanti quadri e tanti dirigenti di cultura e formazione diversa, quella cattolica compresa, che non credono ancora al fallimento definitivo del Partito Democratico.
Forse a quello dell’apparato formale sì,ma a quello della idea di fondo no.