Un dato è ormai abbastanza chiaro. Senza una forza politica di centro, o meglio senza una “politica di centro”, la coalizione di centro sinistra stenta a ritornare ad essere competitiva con il centro destra. È ormai un fatto sufficientemente oggettivo. Ce lo dicono quotidianamente tutti i sondaggi e la conferma arriva dalle varie consultazioni elettorali. Quelle che contano, come ovvio. E non quelle che registrano una partecipazione del 10% del corpo elettorale come le recenti elezioni suppletive della Camera e del Senato a Roma e a Napoli. 

Ma, se questa è una osservazione sufficientemente condivisa, resta aperto il tema di come e’ possibile colmare questo vuoto politico – tanto sul fronte del centro sinistra quanto su quello di centro destra – senza riproporre categorie e modelli organizzativi che sono di fatto archiviati. È il tentativo, peraltro generoso, di tutti quegli amici che pensano che riproponendo la Dc, o quel che ne resta in una sorta di esperimento bonsai, sia possibile quasi meccanicamente dare una risposta convincente a quella domanda da troppo tempo inevasa. Certo, nessuno ha la palla di vetro ma è indubbio che continuare a riproporre categorie politiche del passato fingendo che nulla sia cambiato, rischia da un lato di ridicolizzare la storia cinquantennale di un partito che ha saputo ricostruire, con la sua cultura, la sua politica e il suo gruppo dirigente, la democrazia nel nostro paese. E, dall’altro, di scambiare la nostalgia condita con un pizzico di convenienza personale con un grande progetto politico. 

Ecco perché, al netto del dibattito sui come declinare oggi una “politica di centro” nella cittadella politica italiana, almeno su un punto cerchiamo tutti quanti di pronunciare una parola definitiva. E cioè, consegnamo lo scudocrociato, la storia gloriosa e feconda della Dc e quindi la Dc nella sua interezza alla storia. Nello specifico ad una Fondazione – qualunque essa sia – senza però continuare a riproporre spezzoni della sua esperienza. Perché ne va della sua storia e della sua nobiltà e non dello sforzo, o dell’ambizione, di qualche singolo.