Annullate le tutele sanitarie per i lavoratori fragili

Credo che si configuri i una situazione anomala che finisce con il punire un soggetto definito “fragile”

E’ assai dibattuta e desta polemiche e giustificate proteste la situazione che si è determinata per i cd. “lavoratori fragili”, del settore pubblico e privato, con la reiterazione con modifiche del “DECRETO AGOSTO”, approvato il 6 ottobre in Senato e confermato definitivamente il 12 ottobre alla Camera.

Di fatto il nuovo provvedimento legislativo annulla a decorrere dal 16 ottobre p.v. le tutele previste per i lavoratori fragili in possesso della certificazione di “inidoneità temporanea al servizio fino al termine dello stato di emergenza decretato dal DPCM Conte”.

Mentre prima si poteva beneficiare dell’art. 26 comma 2 che prevedeva per questa categoria di lavoratori (chemioterapici, immunodepressi, affetti da patologie che li sovraespongono al rischio di contrarre il Covid-19, anche perchè quasi sempre portatori di invalidità importanti e fruitori della legge 104/92 sulle disabilità) di essere esonerati d’ufficio dal servizio, equiparando la patologia al ricovero ospedaliero, adesso con il nuovo testo approvato dal Parlamento queste tutele sono annullate.

Pertanto i lavoratori possono chiedere di essere utilizzati in compiti diversi ma sempre in ambienti lavorativi esposti al rischio del contagio e per lo svolgimento di mansioni diverse dal proprio profilo professionale, (a volte non accessibili ai portatori di disabilità, – ad es. uso del PC o di macchinari, sollevamento di pesi, la stessa tolleranza ai presidi tipo mascherine che rendono difficoltoso il respiro se indossate continuativamente in ambiente chiuso ecc..) spesso con orario di lavoro superiore a quello contrattuale.
Oppure – in alternativa – “di mettersi in congedo per malattia”, nell’ambito del periodo di comporto, il che significa di correre il rischio di avere decurtazioni dallo stipendio fino ad azzerarlo, in concomitanza con il protrarsi dello stato di emergenza che impedisce loro di svolgere il proprio abituale lavoro.

Va sottolineato che molti medici si rifiutano di certificare uno stato di malattia che non esiste: la norma infatti confonde lo stato di “lavoratore fragile” (immunodepresso ed esposto potenzialmente al contagio pandemico, ma in situazione di patologie croniche e invalidanti) con la condizione di “malattia” che presuppone l’esistenza di una patologia diversa e temporanea.

Infatti i “lavoratori fragili” in periodo di non-emergenza , svolgono abitualmente il proprio lavoro anche continuativamente , fatti salvi i gg di assenza per cure specifiche (chemioterapie, somministrazione di specifici farmaci per l’immunodepressione, a volte salva-vita ecc).

Costringerli o invitarli a “mettersi in malattia” crea una difficoltà oggettiva al medico curante che deve certificare una patologia diversa, di fatto non esistente.
Non è infatti la loro patologia che li rende ammalati al punto da chiedere congedo per salute, quanto il fatto di essere sovresposti al rischio contagio a motivo della loro immunodepressione e fragilità.
E’ il contesto oggettivo che crea una situazione di pericolo, in una condizione di soggettiva fragilità.

Credo che questa fattispecie configuri in via generale una situazione anomala che finisce con il punire un soggetto definito “fragile” dall’autorità sanitaria competente: costretto a svolgere una mansione non attinente al proprio profilo professionale ( ci sono casi di invalidità superiore al 75% e portatori dei diritti ex legge 104/92) ovvero costretto per evitare contagi e contiguità lavorative a rischio con altre persone , ad usufruire del proprio congedo personale per malattia, magari fino al suo esaurimento senza emolumenti.

Fino ad oggi , anzi fino al 15 ottobre p.v. questa situazione di fragilità era tutelata dal legislatore, dal 16 ottobre non lo sarà più e ‘i fragili’ saranno abbandonati ad un destino privo di protezioni giuridiche.

Mi viene da pensare – per una sorta di teoria del contrappasso- ai navigator e ai percettori del reddito di cittadinanza che stanno a casa senza che nessuno si ponga il problema di un controllo sul loro operato.
E’ infatti noto (Ricerca della Sapienza di Roma- Prof. GB Sgritta) che i navigator in due anni di “lavoro” hanno procurato l’impiego ai percettori del reddito di cittadinanza in misura inferiore al 3% del loro totale potenziale. Qui l’articolo pubblicato su IL DOMANI d’ITALIA:

Un paradosso inaccettabile se comparato alla situazione di lavoratori fragili privati delle preesistenti tutele della propria incolumità, che prima evitavano la sovraesposizione al contagio pandemico e dal 16 ottobre non lo faranno più.
Queste situazioni determinate dal nuovo provvedimento legislativo del 12 ottobre u.s. non sembrano conciliabili con le prerogative di un Paese che voglia essere e dirsi civile.