Parigi 16 marzo 1771 nasce Antoine-Jean Gros. Da allora sono passati 245 anni…

Grande artista francese di studi accademici neoclassici presso la scuola di Jacques-Louis David, di cui (a detta dello stesso Maestro) egli fu il migliore e più fidato allievo. Gros è portato da David all’età di 12 anni da suo padre, Jean-Antoine, pittore e miniaturista, amico di molti artisti, trasferitosi verso la fine degli anni ’50 da Tolosa, sua città natale, alla “ville lumiere”. Questo desiderio paterno coincide con una forte ispirazione artistica del piccolo Antoine-Jean sorta allorché vede, appena dodicenne, al Louvre durante l’esposizione del 25 agosto 1783, Il dolore e i dispiaceri di Andromaca sul corpo di Ettore, suo marito, dipinto di David, personaggio cui il giorno dopo è presentato. Ne comincerà a frequentare l’atelier due anni dopo, a seguito del rientro del grande artista dall’Italia.

Il rapporto di Gros col clima neoclassico è riconoscibile in una delle sue prime opere su commissione: La Repubblica. Il dipinto (oggi a Versailles) fu eseguito a Genova nel 1795 per il locale Consolato francese, in occasione della sua prima visita in Italia, effettuata per conoscere e studiare l’arte del “bel Paese” e frequentare la cerchia di Napoleone, astro nascente della politica europea. La “Repubblica” è simboleggiata da una figura femminile accampata per intero al centro della tela in atteggiamento solenne. Un’immagine più autoritaria (si consideri la lancia che brandisce nella mano destra) che benevola e che contrasta con il luminoso seno destro ampiamente scoperto (quasi a rievocare il classico soggetto della “carità romana). L’abilità descrittiva e il virtuosismo cromatico confermano la lezione prontamente appresa alla scuola di David. Pur prendendo le mosse dalla Minerva romana (come, d’altra parte, avevano fatto diversi artisti come J.-B. Wicar, al di cui lavoro Gros deve avere guardato) l’iconografia guerriera e lo stemma grosiano appaiono sostanzialmente inventate, eludendo così la specifica tradizione iconografica, non senza qualche attenzione alle vignette rivoluzionarie del Direttorio. Questo fatto comprova il temperamento rude, spontaneo, e comunque sensibile ed educato del pittore. I soggetti mitologici e allegorici che realizza, pur nel rispetto della tradizione, rispondono alla condizione emotiva dell’autore e non tanto all’ “oggettivismo” davidiano o al distaccato stilismo ingresiano. 

I temi innovatori della morte e la tensione, che rendono non soltanto il senso dell’angoscia e dell’ineluttabile, ma anche lo sconfinamento allegorico, sono elementi predominanti in molti schizzi e disegni di fine Settecento. Tra tutti Young vicino al cadavere della figliastra morta del 1793, in cui i soggetti si fanno emblematici fino ad anticipare atteggiamenti preraffaelliti e simbolisti. Ad esso deve aver guardato Girodet nel suo dipinto La deposizione di Atala nella tomba del 1808. Del primo periodo mitologico-allegorico spicca un dipinto del 1798 carico di pathos coinvolgente: La morte di Timofane, conservato al Louvre. La colonna centrale produce una doppia quinta, sulle tracce di Masaccio, così che la scena di sinistra, in cui i soldati uccidono con efferatezza pari alla Strage degli innocenti di Raffaello, sembra temporalmente e spazialmente distante. In essa, inquadrato nell’arco, Timoleone esprime, con forte tensione muscolare e pudore del viso quasi celato, la lacerazione tra il bisogno etico di salvare la patria dalla tirannia invocata dal fratello e il dolore straziante per la di lui inevitabile morte. Questo “assolo” di Timoleone è sottolineato da uno studio preparatorio dello stesso anno, nel quale il segno si dibatte tra la marcatura dei contorni delle gambe e la levità del tracciato nell’alternare l’andamento reale dell’abito e lo sviluppo virtuale dato dal movimento della figura. Timofane cattura i tre quarti dell’attenzione dell’osservatore per l’aggressione che sta subendo e per il dramma che esprime il suo corpo abbandonato quasi a mo’ di una deposizione, alla stessa maniera di quanto accade al personaggio riverso e sostenuto a stento sulle proprie ginocchia in Bonaparte visita gli appestati di Jaffa. In La morte di Timofane la struttura della composizione tiene conto dei pattern triangolari di derivazione davidiana (ad esempio nel Il giuramento degli Orazi del 1784), ma Gros, col dolore di Timoleone, accentua ancor più il suo allontanamento dal classicismo di maniera. 

Se si guarda con attenzione nell’opera di Gros, oltre le tesi consolidate, ci si accorge come egli rappresenti pienamente (come artista e come uomo) le spinte del movimento romantico nascente, in cui emozione e razionalità si alternano alla ricerca del sublime, del senso della vita, di quell’armonia che pone in relazione l’esistenza umana ed il divenire dello spirito.

Solitamente, Gros è citato nei testi canonici di storia dell’arte soprattutto come il cantore dell’immagine trionfante di Napoleone. Bonaparte al ponte di Arcole (1796), La battaglia di Abukir (1806), La battaglia di Eylau (1808), Bonaparte visita gli appestati Jaffa (1804) sono solo alcuni dei numerosi capolavori dipinti dall’artista. 

Secondo ricostruzioni storiche, si intuisce che l’incontro tra l’artista e Napoleone era stato patrocinato da Giuseppina Bonaparte alla quale Gros era stato presentato nel 1796 a Genova. Si narra di un viaggio in carrozza che Giuseppina fece proprio con Antoine-Jean da Genova a Milano, un tragitto che consolidò un’amicizia destinata a durare per l’intera loro esistenza. L’incontro tra l’artista e Bonaparte avviene a Milano, a palazzo Serbelloni, nel novembre di quello stesso anno. “Cosa posso fare per voi?” – gli chiede il Generale, già informato del valore di quell’allievo di David (da Napoleone immensamente stimato). Gros in verità raramente ha dimostrato spirito di iniziativa, temperamento forte e determinazione. Ma in quella occasione è brillante e risponde prontamente: “Il vostro ritratto, Generale”, e così dicendo si assicura fama, gloria e sicurezza economica. Seguirà una serie di ritratti, tra cui il già citato e famoso Bonaparte al ponte di Arcole, che costituisce la prima forte proposta “deviante”. Da qui il grande interesse di tutti i giovani artisti del tempo. Antoine-Jean, non ancora affermato, con quest’opera fa conoscere il suo talento e di lì a poco, nel 1801, sconvolge gli animi sopiti degli artisti accademici e gli ardimenti dei più giovani assetati di novità. Quell’anno, Napoleone indice un concorso per un dipinto nel quale glorificare e perpetuare la vittoria riportata dalla propria armata contro la coalizione di turchi e arabi. Due anni dopo, la battaglia di Nazareth dell’otto aprile 1799 ha il suo pittore-eroe. Il premio viene vinto da Antoine-Jean Gros. Su quel tema egli realizza uno schizzo ad olio fatto con energia e scioltezza: il generale Junot, risalta tra la fanteria francese e alleata ed i dragoni del XIV° reggimento dispiegati nella battaglia: un gruppo bellissimo sui quali dominano i cavalli pieni di ardore.

L’artista diventa il “suiveur” di Napoleone e rappresenta le sue battaglie in spettacolari dipinti, ricchi di movimento e particolareggiati nella narrazione. Tuttavia, il rapporto con Bonaparte non è sempre armonico. La sua personalità, coerente ed autentica, gli impedisce di essere il mero glorificatore di Napoleone e costui lo intuisce, passando da slanci di riconoscenza ed amicizia ad allontanamenti istintivi, atteggiamenti tipici del suo despotismo. Probabilmente ne ha anche una riprova quando Gros riceve da lui la delega fiduciaria (primavera 1797) – nell’ambito di un’apposita commissione – di raccogliere in Italia oggetti d’arte da spedire in Francia. Egli accetta l’incarico senza entusiasmo, anzi manifesta delle remore seppur non esplicite (per un’azione che reputa una illecita sottrazione) fugate tuttavia dal tono cortese, ma deciso del suo “capo”. Del resto, egli non può rifiutare l’incarico anche per ragioni di sussistenza della sua famiglia (aveva lasciato a Parigi la madre e la sorella minore in stato di indigenza; il padre era morto quattro anni prima). Ma, ben presto, Napoleone si rende conto che il giovane pittore non espleta l’incarico al meglio. Riferisce Tripier Le Franc che il sindaco di Perugia e i notabili della città pregarono Gros di essere clemente circa la quantità delle opere del Perugino da sottrarre, offrendogli in cambio la somma di 30.000 franchi. La risposta fu gentile, ma perentoria: “En vous méprenant sur l’honorabilité de mon caractère, vous vous êtes aussi mépris sur mes intentions à l’égard de vos tableaux. Je ne viens pas enlever vos chefs-d’oeuvre; je viens seulement vous demander deux ou trois Pérugin ce nombre suffira au désir de Bonaparte et à la glorie du musée français”. La commissione guidata da Gros resta in carica fino al settembre 1797. Da allora (e fino al luglio dell’anno successivo) arriva da Parigi, una seconda commissione ben più agguerrita e “rapace”. I suoi membri, tra i quali Dannou, Florent, Vicar, Thouin, a differenza del loro predecessore, s’impossessarono di ventidue quadri del Vannucci. 

Carattere insicuro, Gros aveva visto in Napoleone un riferimento (esistenziale e professionale). Ma ciò non arriva al punto di fargli tradire i suoi principi e rinnegare il suo vero interesse che resta “la pittura per la pittura”. Napoleone, probabilmente, coglie tutto ciò, rendendosi conto che Antoine-Jean, pur restando un fedele ammiratore, non lo è tanto da piegarsi totalmente alla sua volontà. 

Dopo gli anni vissuti in Italia, l’artista aveva fatto la sua prima apparizione ufficiale al Salone parigino del 1801. Espone due opere: Napoleone al ponte di Arcole e Saffo a Leucade. In quell’occasione, per quanto plauso riceva per il segno libero e l’ardimento compositivo espressi nel ritratto del Bonaparte, l’autore vive uno dei suoi primi grandi sconforti poiché nessuna attenzione riceve per Saffo a Leucade. Vi aveva riversato tutto se stesso, lo slancio istintivo ed il temperamento romantico, mettendo ai margini la formazione neoclassica e l’esempio specifico davidiano. I modi espressivi ed il tema sono infatti romantici. È uno dei pochissimi casi (forse il solo) carico di tanta evidenza, in cui Gros offre al suo originale temperamento l’occasione di un soggetto appropriato. Ciò a dispetto del fatto che, per tutto il secondo decennio dell’Ottocento, non era ancora sorta la consapevolezza di una chiara distinzione tra temi classici e temi ‘romanzi’. Conseguentemente, gli artisti attingevano spunti da entrambi come, per esempio, Fussli e Blake. Per Gros affrontare il tema di Saffo acquista un significato intrigante. Si tratta di un’occasione languida, oltre che poetica, di una coincidenza perfetta (finalmente) tra conoscenza e sentimento della pittura. Simile nell’atmosfera risulta il quadro Christine Boyer (1800 c.): fantasma serale uscito dal sepolcro sull’isolotto appena a riparo dalla cascata, a seguire con lo sguardo il cespo di rose trascinato via dalla corrente. Un quadro emblematico che sembra già aprire i discorsi verso Runge, il Romanticismo e perfino verso il simbolismo preraffaellita. Christine Boyer, moglie precocemente scomparsa di Luciano Bonaparte, fratello di Napoleone, è ritratta post-mortem in atteggiamento pensoso ed inquieto più che angosciante (personalmente, non escludo trattarsi del ritratto di Josephine di Beauharnais, immersa nella sua malinconia e immortalata nel paesaggio che fa da sfondo alla figura femminile campeggiante in primo piano).

Si è già accennato al carattere sostanzialmente debole di Gros, alle sue lacerazioni interiori, malgrado un temperamento ardimentoso, estroverso, elegante e accattivante. David resterà il suo riferimento, ma anche il suo limite ed il Maestro non l’aveva capito, o non lo aveva voluto capire. Infatti, Jacques-Louis si inorgogliva ogni volta che Gros riscuoteva successo e allori, come quando (secondo quanto riferisce Delécluze), all’esposizione del 1806, i vari pittori appesero una simbolica palma sopra il quadro Bonaparte visita gli appestati di Jaffa. “È fuor di dubbio -commenta il critico- che, dopo David, Gros è il pittore che ha maggiormente influenzato le dottrine e la pratica degli artisti contemporanei”.

Con l’esaurirsi del periodo napoleonico, e cioè con l’opera L’imperatore Napoleone arringa i suoi generali e l’armata prima della battaglia delle piramidi del 1810, l’artista si lascia andare (ad esclusione di alcuni ritratti prettamente ottocenteschi) ad una produzione mitologico-classicheggiante, canonica e fiacca. Ciò anche perché ha accettato l’incarico di dirigere la scuola di David al posto del Maestro esiliato. 

Nel periodo che va dalla metà degli anni ’10 al 1835, Gros riceve alte onorificenze e incarichi, in Francia e in Italia. Anche nel periodo della Restaurazione gli sono commissionati diversi dipinti e ritratti dalla Camera dei Deputati, come nel caso del Ritratto della Duchessa d’Angoulême (1816). Ma il massimo impegno verso i reali l’artista lo riversò ne La partenza di Luigi XVIII dal castello Tuileries la notte del 20 marzo (1816) e nel dipinto Imbarco della Duchessa d’Angoulême a Pauillac (1816-1818). 

Gros stava vivendo un periodo di crisi ed è chiaro che, con i tre dipinti presentati al salone del 1835, fece il massimo sforzo nel tentativo di risollevare le proprie condizioni psicologiche ancor prima che professionali. Sotto l’aspetto artistico, egli sente di essere stato sorpassato dalle nuove leve. Viene anche allontanato dai fautori del classico, che tuttavia erano riusciti a dare alla loro tendenza nuove impronte e direzioni. In tal senso, è significativo il fatto che gradatamente molti allievi del grande “peintre d’histoire” si trasferiscano alla scuola di Ingres. 

Sul piano psicologico, finita l’epopea napoleonica, in cui aveva dato il meglio di sé, Gros vive il dramma della perdita di Napoleone, che era sempre stato per lui un importante sostegno. Probabilmente i posteri si sarebbero aspettati una virata nell’impegno artistico, quanto meno nel senso di uno sviluppo più determinato e audace dei motivi innovatori che pure aveva precedentemente espresso. Invece, il carattere ardimentoso e la genialità non erano più sorretti da una adeguata forza, soprattutto psicologica.

Antoine-Jean Gros viene trovato a Bas-Meudon nella Senna privo di vita, suicida, il 26 giugno 1835. Si era assentato da casa il giorno prima al mattino. Fragilità emotive conducono Gros al gesto fatale: contrasti profondi ed una chiara incomunicabilità tra Gros e sua moglie, che gli impedisce di vedere la propria figlioletta naturale Cécile-Françoise Simonier. 

Le sue spoglie riposano nel cimitero del Père-Lachaise di Parigi, visitate da tutti coloro che continuano a riconoscere la sua integrità morale e la straordinaria statura artistica.