Appunti sulla questione cattolica. Risposta a Emilio Persichetti.

Spiega l’autore della nota che il testo preso in considerazione, scritto dal dirigente di “Convergenza Cristiana”, è in realtà “pieno di slancio generoso e disinteressato, ma non privo di ingenuità e pericolose evocazioni storiche”. 

In questi giorni come avviene spesso, si potrebbe anche dire, ciclicamente, torna ad affiorare il dibattito sulla collocazione del cattolicesimo nel sistema politico italiano.  La nascita del Governo Draghi, un governo percepito di centro, fa tornare la nostalgia dell’Italia governata dalla Balena Bianca, ovvero quella del “bipartitismo imperfetto” o del “multipartitismo polarizzato”. Un paese in cui un partito era condannato a stare sempre al governo. Ovviamente quel partito sempre al governo era un partito cattolico. Di qui le suggestioni di un nuovo “patto repubblicano” che facendo tesoro dell’esperienza del governo Draghi si candidi a diventare l’asse portante del futuro sistema politico italiano. 

Penso sia questa la suggestione sottesa all’intervento dell’Avv. Emilio Persichetti su “Convergenza Cristiana”, un testo pieno di slancio generoso e disinteressato, ma non privo di ingenuità e pericolose evocazioni storiche.

La cornice ideologica è quella della ruiniana “unità sui valori”. Il casus belli il ddl Zan salvato da un immaginario gruppo trasversale di “cattolici deputati”. A parte il fatto che la discussione parlamentare sul ddl Zan andrebbe depurata di tatticismi e opportunismi, sul piano culturale non solo sulle pagine di Avvenire, ma anche su quelle di testate laiche e femministe sono emersi dubbi e scetticismi sul modello antropologico sotteso alla proposta di legge in discussione. Difficile quindi parlare al riguardo di “blocco cattolico” che ferma la “deriva nihilista”. Ma tant’è. 

Una simile suggestione riemerge nel testo di Persichetti allorché si evoca la stagione del sostegno a Giolitti dei cattolici attraverso il cosidetto “Patto Gentiloni” come “garanti della libertà”. Ora, non solo è di tutta evidenza la subalternità culturale e politica che espresse quella stagione del cattolicesimo politico relativamente alla cultura liberale, subalternità cui cercò di porre rimedio, sebbene con insuccesso, la fondazione del Partito Popolare ad opera di Don Sturzo, ma anche sul piano dei contenuti non sembra che il contributo dei cattolici sia stato così determinante per garantire la libertà, se si escludono forse le libertà per la Chiesa, ovvero le“guaretigie” già peraltro assicurate alla Santa Sede dall’apposita legge. Non è un caso infatti se, proprio la causa del Partito Popolare e quindi quella della libertà d’iniziativa politica dei cattolici, sia stata consapevolemente sacrificata dalla Santa Sede per venire a patti con il nuovo stato autoritario guidato dal partito fascista. 

Sfugge davvero poi il nesso, suggerito dall’editoriale di Convergenza Cristiana, tra l’impegno politico promosso durante il pontificato di Pio X, 1903-1914, e quello promosso durante il pontificato di Paolo VI “la politica come prima forma di carità”. Le categorie cultural-politiche dei due pontefici sono diametralmente opposte: nel primo caso il mondo moderno è una sentina di errori e falsità, nel secondo caso il mondo moderno è una occasione di evangelizzazione dove c’è ancora posto per i cristiani.  

In conclusione chi scrive pensa che la questione del partito cattolico sia in tali termini malposta. Innazitutto perché la stagione dell’unità politica dei cattolici segna un determinato periodo della storia d’Italia segnata dalla Guerra Fredda e dall’assenza di istituzioni comunitarie come quelle che caratterizzano oggi l’Unione europea. Ma in secondo luogo anche sul piano valoriale perché non esistono in politica cattolici senza aggettivi: il cattolicesimo democratico è una cultura politica distinta dal clerico moderatismo così come dal cattolicesimo liberale e da quello sociale. Forse sarebbe il caso di fare uno studio di tutte le differenti culture politiche che si richiamano al cattolicesimo del ‘900 che non mi sembra sia stato ancora compiuto. E questo senza stabilire gerarchie o primati morali, solo per amore della conoscenza storica. Del resto non è da adesso che i cattolici in politica si trovano su fronti opposti. Basti pensare a Dante Alighieri e Bonifacio VIII. 

Acclarata dunque la impensabilità di un cattolicesimo politico senza aggettivi veniamo all’oggi. Quello che si coglie e che si può accogliere nell’editoriale di Convergenza Cristiana non è la necessità di un “partito cattolico” ma la necessità di partiti di ispirazione cristiana, ovvero partiti che, pur scontrandosi e competendo tra loro, abbiano ognuno un’autentico radicamento nella dimensione etico religiosa ispirata al cristianesimo e visto che siamo in Italia  al magistero della Chiesa Cattolica. E’ quello che avviene nel sistema politico americano dove i cattolici militano in entrambi i partiti, democratico e repubblicano, i quali non possono non dirsi entrambi d’ispirazione cristiana. 

Ora, la missione del PD e dei cattolici dentro al PD sarebbe stata proprio questa: superare la democrazia dei partiti e arrivare al bipartitismo, ovvero  a due partiti d’ispirazione cristiana molto articolati e plurali all’interno, due country party, due partiti coalizionali. In questi, l’elemento cattolico sarebbe dovuto essere quello culturalmente trainante ma così non è stato. Le ragioni non è il caso qui di approfondire, ma anch’esse meriterebbero uno studio a parte. Valga però questo assunto: la missione del PD era il superamento della democrazia dei partiti e l’invermanto di quella che era stata chiamata democrazia dei cittadini. Questo palesemente non è avvenuto e il PD replica, sotto altre insegne, comportamenti stili e metodi della usata democraiza dei partiti ma senza avere più quel retroterra ideologico culturale novecentesco che dava senso e spessore all’azione politica. E’ rimasta, sempre più esigua, solo l’organizzazione. 

Ovvio che i cattolici su questo non possono dare alcun contributo originale. Il vero “patto repubblicano” non sarebbe allora quello che porta ad eternare il governo Draghi replicando il sistema politico della cosiddetta Prima Repubblica, il vero patto repubblicano sarebbe la costruzione di una democrazia delle istituzioni e dei cittadini, governante e bipartitica. Ma forse sono solo sogni destinati a rimanere tali, come quelli di Dante sull’imperatore Arrigo VII.

* L’autore è il segretario del Circolo Pd del quartiere Esquilino. Si candida al Consiglio del Municipio I (Roma Centro).