A suonare l’allarme è stato Sabino Cassese: le sue parole hanno messo a nudo la fragilità della riforma (ex art. 114, comma 3, Cost). Ebbene, tali critiche provenienti da un’autorità del diritto costituzionale dovrebbero far riflettere. La riforma non andrà in porto, ma si depositerà nel dibattito politico in vista delle regionali del prossimo anno. Con il Pd, già messo alla gogna come partito della Ztl, destinato a farsi carico di un progetto che potrebbe risvegliare la classica tensione tra la Capitale e le altre province del Lazio. 

La riforma dovrebbe essere approvata in commissione affari costituzionali della Camera e poi passare in Aula: Roma Capitale avrebbe finalmente, dicono gli estensori del disegno di legge, un nuovo ordinamento e di conseguenza nuovi livelli di finanziamento. In realtà, si tratta di un provvedimento destinato a non concludere l’iter previsto dalle revisioni della Carta, stante la complessità delle procedure fissate dai Costituenti, sicché la riforma funge sostanzialmente da bandiera politica in vista della campagna elettorale del prossimo anno, quando insieme alle politiche si voterà anche per la Regione Lazio. Un motivo in più per maneggiare con cura la nuova normativa, soprattutto da parte del Pd che attualmente, con il Presidente Nicola Zingaretti, guida la giunta regionale.

Ieri, alla cronaca romana del “Corriere della Sera”, la relatrice Annagrazia Calabria – l’altro relatore, in chiave bipartisan, è Stefano Ceccanti (Pd) – ha rilasciato un’intervista che lascia con la bocca asciutta tutti gli interessati a discutere nel merito, attraverso il pubblico confronto, la formula di applicazione del terzo comma dell’art. 114 della Costituzione (Ordinamento di Roma Capitale). La spiegazione è ridotta all’osso, si capisce solo quello che ciascun cittadino, per quanto possa essere informato, riesce a collegare mentalmente a un quadro più ampio. Sta di fatto che la relatrice scivola sulla novità più importante e insidiosa, ovvero quella che riguarda il conferimento al Campidoglio di poteri legislativi nelle materie oggetto di “legislazione concorrente” tra Stato e Regioni (esclusa stranamente la sanità). 

In sostanza si trasforma il Comune in una semi Regione, non si sa con quale esito razionale. Ciò comporta, di sicuro, uno “strappo” in ambito urbanistico. “Uno dei settori sui quali la riforma avrà un forte impatto – dice infatti la Calabria – è quello dell’edilizia residenziale pubblica. Roma potrà agire autonomamente nel ripensare il tema delle case popolari, pianificare e costruire senza alcun dispendio burocratico né i blocchi che adesso si creano nei passaggi tra i diversi livelli istituzionali”. Naturalmente il “dispendio burocratico” altro non è che il criterio fondamentale che sottomette la gestione del territorio, in larga parte in mano al Comune, all’attività di legislazione e programmazione del governo regionale: il Comune adotta il Piano regolatore, la Regione lo approva, infine il Comune lo recepisce. In base a questa architettura di poteri e responsabilità, le scelte urbanistiche rimandano a un criterio di governo vasto e articolato degli interessi delle comunità locali.

Lo sviluppo di Roma è intrecciato almeno con lo sviluppo dell’intero territorio regionale. Era ben noto, ad esempio, che il Sistema Direzionale Orientale (SDO), malauguratemtne affosssato da un’opposizione irrigidita nelle sue pregiudiziali ideologiche, avrebbe avuto un impatto significativo su tutte le province del Lazio. Anche per questo il Piano Regolatore di Roma, incentrato su quella gigantesca opera infrastrutturale, comportò una lunga verifica tra Comune e Ministero dei Lavori Pubblici. Negli anni ‘60, infatti, non ancora esistevano le Regioni a Statuto ordinario e la funzione di controllo, in materia urbanistica, erano svolte dallo Stato. Il passaggio alle Regioni di tali competenze fu visto come un motivo di accrescimento delle possibilità di partecipazione, dando alla programmazione sovracomunale il valore di una più diretta e accurata osservazione dei processi di sviluppo urbano a tutela di una sana gestione del territorio.    

Ora, mentre Roma scivola verso il basso nella classifica delle città interconnesse con il mondo, secondo i dati che sempre ieri il “Corriere della Sera” commentava in un editoriale di Antonio Preiti, s’immagina di riordinare lo status della Città rendendola meno o nient’affatto interconnessa con l’insieme delle comunità territoriali del Lazio. In definitiva, senza prefigurare alcunché di convincente sul piano dei benefici che Roma potrebbe pur reclamare in forza della sua funzione di Capitale della Repubblica, si procede a ingarbugliare inutilmente l’articolazione dei poteri tra Stato Regione e autonomie locali, inventando un nuovo e imprecisato ente di governo. A suonare l’allarme, senza mezzi termini, è stato Sabino Cassese: le sue parole hanno messo a nudo la fragilità o meglio l’inutile pretenziosità del disegno riformatore. Ebbene, tali critiche provenienti da un’autorità del diritto costituzionale dovrebbero far riflettere, invece si va avanti con imperterrita superficialità.

Certo, la riforma costituzionale non andrà in porto, essendo ormai la legislatura all’ultima curva del quinquennio e difficilmente ci sarà tempo per votare, per ragioni sopra accennate, una norma rientrante nella complessa procedura di revisione costituzionale. E tuttavia, sul piano strettamente politico, le conseguenze prenderanno forma a prescindere dall’esito parlamentare. A destra, Fratelli d’Italia alzerà il tiro proprio in vista delle elezioni regionali del prossimo anno e a difendere la riforma resterà solo il Pd e qualche suo alleato (non tutti). Allora non è azzardato prevedere che la polemica ruoterà attorno alla difesa delle province  e dei centri minori – un tema sempre ricorrente in forma più o meno esplicita – contro lo strapotere della Capitale, con il Pd consegnato al suo profilo, decisamente ingigantito, di partito della Ztl. Di questo, in verità, sembra esserci poca consapevolezza dalle parti del Nazareno.