Anticipiamo uno stralcio – quello incentrato proprio su Roma – dell’intervento che svolgerà Giuseppe Fioroni al convegno di Base Riformista (Pd) in programma oggi pomeriggio al cinema Broadway, nel quartiere di Centocelle.

Credo che le celebrazioni sui 150 anni di Roma Capitale appartengano all’orizzonte di tutta intera la comunità nazionale.

Tutti ci sentiamo un po’ romani dinanzi alla grandezza di un evento che ha cambiato la storia dell’Italia moderna e contemporanea.

Chi vide la ‘novità’ e la inquadrò con acume fu, come sappiamo anche per la menzione fatta il 3 febbraio al Teatro dell’Opera da Papa Francesco, l’allora Cardinale Montini in Campidoglio (ottobre 1962). 

Ecco le sue parole: “Parve un crollo; e per il dominio territoriale pontificio lo fu. Ma la Provvidenza, ora lo vediamo bene, aveva diversamente disposto le cose, quasi drammaticamente giocando negli avvenimenti”.

Ora, se noi proviamo a interrogarci sul presente e sul futuro della nostra Capitale, sentiamo immediatamente il dovere di accantonare i luoghi comuni.

C’è bisogno di riannodare i fili di un grande dibattito su Roma. Il suo avvenire è l’avvenire dell’Italia. Ne siamo consapevoli e ne vogliamo trarre le conseguenze. Da qui a un anno le elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale e l’investitura del nuovo sindaco costituiranno una pagina decisiva della politica nazionale.

Tocchiamo con mano, in questa fase, la scarsa incidenza della battaglia politica del nostro partito. Chiusi nella logica dell’opposizione, quando poi condividiamo con il M5S le responsabilità di governo a livello nazionale, rischiamo di unire alla denuncia dell’insufficienza della Raggi il logoramento della linea di opposizione a tutti i costi.

Penso che se non affrontiamo insieme, nella distinzione dei ruoli, le molte emergenze della capitale (viabilità e traffico, rifiuti e decoro urbano, questione abitativa, servizi pubblici e sociali) non offriremo un’alternativa convincente.

Dentro questo scenario, con la premura di essere noi (i  Democratici) i primi a credere nella forza del dialogo, conta lo sforzo di un amalgama nuovo tra le forze di rinnovamento – tra queste metterei le forze espressive, a vario titolo e sotto forme diverse, del cattolicesimo sociale e democratico.

Il partito è fermo, ruota attorno a pensieri di presunte élite, a logiche di potere senza respiro. Non ho da dare consigli, e neppure da pronunciare sentenze, ma quando si registra che il candidato sindaco da noi espresso quattro anni fa ora è fuori dal Pd – dal partito che lo ha visto lungamente impegnato come deputato della città – sarebbe giusto interrogarsi anche sulle nostre responsabilità.

Un partito chiuso determina prima o poi reazioni negative, con clamorosi atti di lacerazione; reazioni che possono suscitare disagio e finanche censure, senza mezzi termini; ma reazioni che, per essere fondate sulla verità, debbono far leva sulla capacità di sentirsi coinvolti in un esame di coscienza collettivo.

Per questo vogliamo un congresso romano all’insegna della ricerca di un nuovo modello di partito. Ma soprattutto di una nuova politica, punto di mobilitazione e di sintesi delle spinte riformatrici, elemento di coagulo di progetti indirizzati al bene della comunità cittadina romana.