Era un cattolico consapevole dell’autonomia della  politica, come pure un cattolico del rigore che non considerava il “pubblico” come una platea da blandire e intrattenere ma da rendere edotta della complessità della storia.

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Il cuore di Beniamino Andreatta ha smesso di battere il 26 marzo di 15 anni fa, ma la sua parola, il suo pensiero, i suoi sigari ci mancano dal 15 dicembre del 1999. Quel giorno mentre era nell’aula della Camera dei Deputati ebbe un malore, ci sarebbe stato bisogno di un defibrillatore, ma non c’era. Lo portarono al San Giacomo degli Incurabili. Una profezia. Oggi quell’ospedale del centro di Roma non esiste più. 

Andreatta era un cattolico di sinistra con l’etica protestante, avrebbe detto Max Weber. Uno che aveva il senso tragico della storia ma anche la leggerezza dell’ironia. Innamorato della responsabilità individuale e nemico del vittimismo. Un liberista certo, ma un liberista del lungo periodo. Tutto l’opposto di quella cultura schiava della trimestrale di cassa e ossessionata dalla “massimizzazione del valore per gli azionisti”. 

Andreatta era un cattolico consapevole dell’autonomia della 

politica: “il Vangelo non ti dice se è giusto o non è giusto andare a bombardare il Kosovo per fermare un genocidio”, la laicità sta in questo: non considerare il Vangelo un libretto di istruzioni ma una fonte di ispirazione, e non fare del magistero del Papa un programma politico. Anche perché chi ha una alta concezione dell’autonomia della politica ne ha parimenti dell’autonomia della Chiesa e non si sognerebbe mai di strumentalizzare le parole del Papa per propri fini politici contingenti. 

Andreatta era un cattolico del rigore che non considerava il “pubblico” come una platea da blandire e intrattenere ma da rendere edotta della complessità della storia. Esemplare questo estratto da un discorso parlamentare rilanciato dall’AREL, il primo think tank all’americana creato in Italia, appunto proprio da Andreatta: “l’opinione pubblica si accende, chiede gli interventi ma poi non è disposta a pagare i costi di questi interventi”. 

In questa battuta c’è tutto il suo pensiero. La politica non ha la funzione di amplificare le emozioni ma di governarle, non deve dire all’opinione pubblica quello che l’opinione pubblica vuole sentirsi dire, come fanno i populisti, ma proprio il contrario, portare la coscienza collettiva a un diverso grado di consapevolezza e di maturità, mettendola di fronte non solo ai propri diritti ma anche alle proprie responsabilità. 

Lo poteva fare ovviamente perché aveva la statura intellettuale e morale che glielo consentiva.  Benedetto quel paese che si ritrova politici come Nino Andreatta, nemici acerrimi di ogni populismo. 

[Tratto dalla pagina Fb dell’autore]

 

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