Sanremo, Benigni, la costituzione, la guerra: non possiamo ignorare la continuità dell’imperialismo di Mosca.  

Quello che oggi ha fatto Putin contro l’Ucraina, nel 1968 l’ha fatto Breznev contro la Cecoslovacchia, quando i carri armati arrivarono a Praga per stroncare sul nascere il processo di democratizzazione avviato da Alexander Dubcek. Solo con Gorbaciov emerse un’altra visione politica, ormai dimenticata.

Paolo Frascatore

Le recenti affermazioni di Roberto Benigni al Festival di Sanremo in occasione dell’inizio del settantacinquesimo anno dell’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana, se da un lato rappresentano alcune profonde riflessioni sul senso, sull’attualità dei principi in essa sanciti, nonché sulla necessità di attuarla nel suo complesso, dall’altro hanno suscitato anche una sorta di delusione per non avere citato, il comico fiorentino, quattropersonalità di spicco che ne hanno forgiato principi e valori della prima parte: Giuseppe Dossetti, Aldo Moro, Amintore Fanfani e Giorgio La Pira.

Ma al di là di questa osservazione (che non vuole essere polemica), va rimarcata la capacità di Benigni di collegarealcuni articoli della nostra Costituzione ai problemi che ci troviamo ad affrontare in questo tempo, in modo particolare quell’articolo 11 nel quale è sancito: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Alla luce di quello che sta avvenendo oggi in Ucraina, fa intendere Benigni, se questo principio fosse presente nella Carta costituzionale della Russia, la guerra attuale sarebbe una ulteriore violazione non solo dell’aggressione illegittima di una Nazione su un’altra, ma anche dal punto di vista della suprema legge interna dello Stato.

Eppure, occorrerebbe riflettere sull’attuale situazione russa e fare un passo indietro: ossia tornare al periodo sovietico quando il potere era detenuto da coloro che si definivano e che venivano definiti anche all’esterno come comunisti.Qual è la differenza tra l’attuale politica dell’entourage russo egemonizzata da Vladimir Putin e l’oligarchia sovietica che dalla rivoluzione di ottobre del febbraio 1917 ha saldamente tenuto in mano le leve del potere, negando i fondamentali diritti di libertà del cittadino, nonché la libertà e l’autodeterminazione degli altri Stati satelliti dell’URSS?

Si tratta di due imperialismi che continuano (come dire) sotto falso nome, ma con motivazioni identiche: opprimere e asservire altri popoli ed altri Stati per quel desiderio di grandezza e di potenza finalizzate ad un profitto economico per una ristretta oligarchia di potere. Oggi Putin, figlio del comunismo sovietico, invade l’Ucraina non solo per ostacolare il diritto del popolo di questa Nazione a disegnare il proprio futuro all’interno dell’Unione Europea, ma anche per allargare i confini della Russia in territori strategici a livello economico e militare. Ieri il capo del Pcus, Leonid Breznev, invadeva Praga (1968) con i carri armati per stroncare sul nascere il processo di democratizzazione e di libertà di pensiero e di stampa avviato dal capo del Partito comunista cecoslovacco, Alexander Dubcek. Quella che allora venne definita come la “primavera di Praga”, a ben riflettere, ha molto da insegnare ancora oggi, anche a certi politici e politologi che con la caduta del muro di Berlino del 1989 dichiararono la fine del comunismo non accorgendosi, però, che quest’ultimo in Cecoslovacchia era altra cosa rispetto a quello russo.

In verità, anche in Russia vi fu all’inizio degli anni Novanta una chiara volontà ad opera di Michail Gorbacev di portare avanti una politica non solo di riforme in senso democratico ed antimperialista, ma anche di rivalutare proprio quei valori che Dubcek aveva chiaramente definito con il termine di socialismo dal volto umano. Sicuramente occorrerà ritornare su queste riflessioni per andare più a fondo, per riattualizzare e rivalutare la politica dei valori sociali, solidali, antimperialistici che dovrebbero, da Est ad Ovest,  pervadere tutto il mondo e rispetto ai quali gli attuali partiti, o meglio, l’attuale classe politica italiana è incapace ditradurre in programma, ma anche in comportamenti politici individuali e collettivi.