Dunque, anche Goffredo Bettini, eminenza grigia del nuovo corso del Pd zingarettiano, ha deciso di dar vita ad una corrente. O meglio un’area, o una tendenza, o un luogo di riflessione e di elaborazione culturale e politica. Che, detto fra di noi, si tratta sempre e solo di una corrente.

Ora, è un fatto abbastanza noto che il Pd è un partito rigorosamente e militarmente organizzato per correnti. Lo è a livello nazionale. E lo è a livello locale. Lo era ai tempi, per non partire dall’inizio della sua bella avventura nel lontano 2007 con Veltroni, del dominio renziano – anche se in quegli anni oltre l’80% del partito era strumentalmente e formalmente adoratore del verbo del “senatore semplice” di Scandicci – e lo è tuttora. Anche se, per le note e tristi motivazioni, oggi la politica si organizza e si disciplina rigorosamente da remoto. Ma, comunque sia, il dato politico di fondo, parlando nello specifico di questo argomento, è che il Pd resta un partito organizzato rigidamente per correnti. Un elemento, questo, che io giudico fortemente positivo per la qualità democratica di quel partito e, soprattutto, per la stessa qualità della democrazia italiana dove, purtroppo, abbondano a dismisura partiti personali, o del capo o del guru di turno. Ecco, sotto questo versante, il Pd resta un grande e vero partito democratico e anche plurale.

Ma, al di là di questo riconoscimento e di questo dato oggettivo, quello che mi preme sottolineare è che se anche Bettini arriva alla conclusione che le correnti, anche se non vengono apertamente pronunciate per non cadere in tentazione, sono il sale e lievito per ogni sana democrazia interna ad un partito, allora andrebbero valorizzate tutte quelle esperienze che, nel passato più o meno recente, hanno individuato proprio nella pluralità organizzata la cartina di tornasole per misurare la democraticità e la libertà politica di un partito o di un soggetto politico nazionale. Purché, e qui sta la differenza nella prima come nella seconda o nella terza repubblica, si tratti di “correnti di pensiero” e non di “correnti di potere”, per citare una celebre espressione di Carlo Donat-Cattin. Ecco un elemento che lega in modo persin plastico il passato con il presente. E cioè, ci sono correnti, o aree o componenti organizzate che vivono ed esistono in virtù della loro elaborazione culturale, del loro progetto politico e della rappresentatività sociale e territoriale che esprimono e, al contempo, correnti che si basano esclusivamente sui pacchetti di tessere, sul grumo di voti clientelari in particolari porzioni di territorio e sul potere di interdizione di qualche dominus locale all’interno del partito stesso.

Elementi presenti ieri come oggi e che distinguono e caratterizzano i partiti autenticamente democratici da un lato da quelli che vengono comunemente definiti come cartelli elettorali dall’altro. Certo, in una stagione dove la politica è, di fatto, scomparsa dai radar e i partiti sono stati sostituiti da vuoti cartelli elettorali in balia degli umori e delle volontà del capo e del padrone di turno, è indubbio che si moltiplicano le difficoltà per costruire partiti autenticamente democratici e plurali al proprio interno. E l’iniziativa di Bettini di dar vita ad una corrente o ad un’area “socialcristiana – anche senza la presenza di esponenti provenienti dal cattolicesimo democratico e popolare, ma questo è un altro paio di manche… – anche se smentita a parole e quindi confermata nei fatti come l’esperienza storica conferma, è la dimostrazione che i partiti senza pluralismo al proprio interno semplicemente non sono partiti ma strumenti alla mercè del proprio azionista.

Ben vengano, dunque, le “correnti di pensiero” organizzate. Un bel regalo che l’esperienza storica della Democrazia Cristiana consegna alla politica contemporanea. Almeno per quella politica che non vive solo di demagogia, di improvvisazione, di casualità, di incompetenza, di propaganda e di antipolitica. Cioè di quella politica che continua a nutrirsi dei dogmi costitutivi dei 5 Stelle.