Biden aumenta l’aiuto militare, l’Europa punta al negoziato, la Russia continua l’offensiva sul terreno. Dialogo tra sordi?

 

La crisi russo-ucraina desta preoccupazione in tutte le principali cancellerie e l’auspicata soluzione sembra affidata più al decorso della situazione militare sul campo piuttosto che ai negoziati

 

Giorgio Radicati

 

I festeggiamenti del 9 maggio a Mosca hanno, per certi versi, deluso le aspettative di coloro che immaginavano un Putin intenzionato a scoprire le carte, a manifestare cioè apertamente le sue vere intenzioni in un momento in cui, da un lato, l’atteggiamento degli americani e dei vertici della NATO è sempre più determinato a sostenere Zelensky e, dall’altro, alcuni paesi europei (la Francia in testa) sembrano voler prendere le distanze dalla strategia militarista di Biden, mostrando (alcuni per convenienza economica, altri su pressione di movimenti pacifisti) di privilegiare genericamente la via negoziale, senza cioè precisarne tempi e modalità, ignorando la perdurante indisponibilità a trattare  del Cremlino.

 

Sembra di assistere ad un dialogo fra sordi…

 

In occasione dell’imponente manifestazione, organizzata, come al solito, da una impeccabile regia, il neo Zar ha evitato di soffermarsi troppo sugli eventi militari in Ucraina, omologando l’intervento armato come ineluttabile poiché causato dalle minacce della NATO, una decisione cioè adottata per tutelare la sicurezza nazionale. Insomma, una sorta di autodifesa. Nulla di straordinario (“business as usual…”) e men che meno una guerra. Una “operazione militare speciale”, di cui non ha approfondito dinamica e conseguenze né tanto meno ventilato la durata. Straordinario egli ha definito soltanto il comportamento del popolo russo che settanta anni prima aveva strenuamente e vittoriosamente combattuto il nazismo, pagando un pesante prezzo in vite umane, con un significativo (ma sicuramente ardito) parallelismo con il confronto armato che si sta verificando oltre confine, sul territorio ucraino. Infatti, ieri come oggi – egli ha sostanzialmente affermato – la Russia è pronta a respingere le minacce e a battersi per la propria sicurezza, sovranità e indipendenza. Al tempo stesso, il governo rende i dovuti onori ai caduti e sosterrà in tutti i modi le loro famiglie. Infine, un messaggio incoraggiante: nessuna ipotesi di guerra totale né minacce nucleari.

 

Per alcuni è sembrata un’apertura al negoziato, per molti altri, invece, una nota rassicurante dedicata alla popolazione, costretta a subire una guerra fonte di gravi lutti al fronte, ristrettezze economiche per i ceti medio-bassi e timori nell’intero paese per un incerto futuro. I giorni seguenti, Lavrov non ha, comunque, mancato di confermare che nulla sta cambiando nella strategia russa ossia che l’offensiva militare continuerà fino a quando gli obiettivi prefissati (quali?) saranno conseguiti.

 

Insomma, da Mosca nessuna nuova novella. Del resto, i combattimenti sul campo sono sempre molto intensi, facendo registrare una perdurante lenta avanzata russa nel sud ed un significativo contrattacco ucraino nella parte centro orientale, mentre in Moldavia la tensione fra filorussi della Transnistria ed il governo di Chisinau non si è allentata, anzi ha fatto registrare un seppur leggero aumento, confermato dalle improvvise visite di Michel, prima, e Guterres, subito dopo, destinate a infondere coraggio alle locali autorità, che continuano a temere l’invasione russa.

 

Contemporaneamente, Biden firmava disposizioni attuative per la consegna immediata di nuove forniture militari all’Ucraina, per l’ammontare di alcune decine di miliardi di dollari (deliberazioni simili a quelle decise nel 1941 contro la Germania nazista…), mentre la Commissione Europea ha intensificato i negoziati al suo interno per varare il sesto pacchetto di sanzioni che comprendono il petrolio, cercando di superare le resistenze di alcuni Stati membri (l’Ungheria soprattutto) che si ritengono più danneggiati di altri da tali penalità per la loro fortissima dipendenza energetica dalla Russia.

 

Al termine del semestre di presidenza, Macron ha inviato un messaggio al Parlamento europeo, auspicando la creazione di una comunità politica da affiancare all’Unione Europea per rendere il continente ancora più forte ed omogeneo, slegandolo dalla pastoia dei farraginosi regolamenti comunitari, che spesso la rendono invisa. È stato un modo come un altro per distinguersi, cercare nuovi sentieri per allargare l’alleanza e, al tempo stesso, tracciare un più rapido percorso per l’Ucraina in vista della integrazione in Europa, senza entrare nella già piena rituale lista d’attesa per poi adeguarsi ai rigidi parametri selettivi dell’Unione, che ne rendono complicato l’ingresso. Niente di più.

 

Il premier francese ha poi voluto ribadire il concetto che dopo lo scontro tra Occidente e Russia occorrerà evitare in tutti i modi possibili di umiliare Putin, leader di una grande potenza nucleare. Argomentazioni riprese da Draghi in un altro contesto, nel corso del suo incontro a Washington con Biden, seppur costretto a muoversi in un equilibrio instabile lungo il ripido crinale delimitato, da una parte, dall’intransigenza americana nel condannare Putin, dalla ferma intenzione di privilegiare l’opzione armata nonché dalla ferma determinazione ad approfittare della crisi ucraina per limitarne il potere e, dall’altra, dall’atteggiamento dell’opinione pubblica italiana e di alcuni partiti politici presenti nel governo sempre più orientati a frenare l’invio di armi all’Ucraina nonché a premere per una sempre più insistente volontà di stabilire una tregua e aprire un tavolo negoziale.

 

In Italia questa flagrante divaricazione non sembra ancora in grado di registrare comportamenti fattuali diversi, concretizzandosi soltanto in sterili dichiarazioni formali. Fino a quando il governo continuerà a fornire armamenti e aiuti di vario genere a Kiev, la volontà espressa di privilegiare un negoziato (puntualmente rifiutato da Mosca) servirà soltanto a puntellare la maggioranza di governo e difendersi dalle crescenti critiche di pacifisti incalliti, le cui file sembrano aumentare giorno dopo giorno. È lecito, peraltro, chiedersi fino a quando questa ambiguità di fondo è destinata a perdurare, tenuto conto che le elezioni politiche non sono poi così lontane.

 

“Last but not least”, si deve registrare l’intenzione delle autorità finlandesi di chiedere a breve l’ingresso nella NATO, temendo una possibile futura invasione russa, nonché un analogo passo in corso di valutazione a Stoccolma.  Mentre Mosca ha prontamente definito questi orientamenti come una manifesta provocazione, riservandosi di adottare le necessarie contromisure, Erdogan ha espresso qualche perplessità in relazione all’ospitalità che i paesi scandinavi sarebbero usi dare a varie organizzazioni terroristiche come il PKK.

 

Da ultimo, ha suscitato sorpresa la notizia della telefonata del Segretario alla Difesa americano Austin al suo omologo russo Shoigun, durante la quale sarebbe stato sollecitato un “cessate il fuoco”, apparentemente senza alcun seguito. Ciò nonostante, tale gesto (dovuto probabilmente, almeno in certa misura, alle recenti esortazioni in tal senso di Draghi e Macron) deve considerarsi positivamente, poiché se non altro rappresenta la ripresa di un dialogo che era interrotto da quasi tre mesi.

 

In conclusione, la crisi russo-ucraina continua a destare preoccupazione in tutte le principali cancellerie e l’auspicata soluzione sembra essere affidata più al decorso della situazione militare sul campo piuttosto che ai negoziati tra Putin e Zelensky, vanamente fino ad oggi auspicati, con sempre maggiore insistenza, dai maggiori leader europei.