Biden pregusta ormai la vittoria. A rallentare la comunicazione del verdetto ufficiale è innanzitutto la mole enorme di voti espressi per posta, effetto diretto e indiretto dell’emergenza sanitaria. Anche l’alto numero di votanti ha ulteriormente appesantito le operazioni di scrutinio: dopo cent’anni, la democrazia americana riscopre la forza della partecipazione popolare e vede abbassarsi in misura significativa la curva dell’astensionismo. Biden, con pochi decimali sopra la maggioranza assoluta, comunque risulta il candidato più votato nella storia delle presidenziali, avendo superato la ragguardevole soglia dei 72 milioni di suffragi. Si tratta di un risultato che già di per sé attesta la straordinarietà di questo appuntamento elettorale-

A vincere, come sembra, è stato un veterano della politica, più pragmatico che liberal, decisamente impegnato nella competizione con Trump a conquistare il centro dell’elettorato, senza reticenze e ambiguità. Se nelle primarie la macchina del partito non avesse optato per Biden, oggi i Democratici starebbero a leccarsi le ferite. Un candidato “a sinistra” avrebbe spianato la strada alla riconferma del più arrogante e imprevedibile inquilino della Casa Bianca. Dunque, dietro la leadership del quasi eletto Presidente si staglia la sagoma di un’America che rifugge dai radicalismi e investe sulla solidità dell’esperienza politica. Insomma si volta pagina, e forse non solo nel cuore dell’Occidente democratico. Il trumpismo, se non archiviato, è perlomeno sconfitto: non sparirà dalla scena, ma perderà la sua carica virale.

Anche per il Partito repubblicano l’esito di questo voto può rappresentare uno stimolo formidabile a rivedere la propria visione strategica, mettendo mano a una revisione della piattaforma ideologico programmatica, a lungo contraddistinta dal fondamentalismo dei “Tea Party” e dalla conseguente brutalità di potere alla “The Donald”. Da questo impazzimento di linea e di contenuti il partito che fu di Lincoln dovrà pur uscire, riattingendo alla fonte di una politica sanamente conservatrice. Il bipartitismo americano è perciò destinato a rimodellare se stesso, correggendo le sue più recenti deformazioni estremistiche. Tornerà, almeno si spera, il gusto del giusto compromesso, perché una democrazia illuminata dai freddi bagliori delle certezze settarie, presto si ritrova oscurata sotto la cupola dell’incompresione collettiva, del rancore di classe e della rivolta anti sistema.

A Biden spetta dunque il compito di restituire un volto più umano alla politica di questo nostro tempo, certamente  inquieto e certamente assetato di speranza.