Assistere passivamente alla lievitazione dei prezzi non è saggio, visto che l’inflazione erode il potere d’acquisto dei lavoratori e incide, come tassa occulta, sul risparmio degli italiani. Una prima misura consiste nella correzione delle accise. Il governo ne deve sperimentare l’efficacia, in tempi brevi, se non altro perché la misura permette di controbilanciare l’aumento delle materie prime e delle conseguenti transazioni commerciali.

Eravamo così abituati nell’ultimo decennio in Italia alla inflazione bassa che c’eravamo convinti che questa condizione potesse restare immutata sfidando ogni tempo. Ma chi conosce la storia, sa che tutto dipende dalle variabili ponderabili e non che sono sempre in agguato e che dettano la loro inesorabile ed eterna legge. Le dinamiche sono pressoché identiche a quello che accade ad un corpo umano: se cambiano quantità della alimentazione in più o in meno; se aumentano le preoccupazioni o per la loro assenza; se si è in movimento frenetico o in relax, se si raggiungono picchi pericolosi di pressione arteriosa, così come la pressione bassa che conduce al collasso. 

Accadde anche con l’inflazione negli anni ’70-’80 quando raggiungemmo fino ed oltre il 20% di inflazione che debilitò sopratutto la condizione dei ceti popolari che vivevano solo di salari; ed un anno fa con la inflazione pressoché attestata allo zero, causata dal forte rallentamento della domanda aggregata nel suo complesso. In questo caso con la bassa domanda di beni e servizi, che conduce inesorabilmente alla deflazione quando raggiunge una percentuale al di sotto dello zero. Dunque è dal 2012 che non si arrivava al 3%, e naturalmente sale tra le persone e negli ambienti più avvertiti del paese la preoccupazione che questa rapida ascesa ne annunci altre ancora portandoci guai. 

L’Istat ha reso pubblici i dati relativi all’andamento della inflazione nelle regioni e nei comuni con più di 150 mila abitanti. La regione a più alta inflazione è il Trentino Alto Adige con il 3,5% che corrisponde ad un aggravio medio pari a 948 euro su base annua e di 1359 euro per una famiglia composta da quattro persone. Seguono a poca distanza la Valle d’Aosta e l’Emilia Romagna, mentre la città più cara è Bolzano, e la più virtuosa invece è Ancona con un aumento di 567 euro su base annua. Gli elementi scatenanti inflattivi, sono da addebitare alla circostanza di essere passati da un sensibile rallentamento della economia determinata dal Covid, e poi, con il volgere verso una quasi normalità, alla domanda di famiglie e imprese spinte dal desiderio di normalità. Ma la componente più pesante ed ingombrante risulta essere quella energetica che accelera da un +20,2%  a +24,9 di settembre, con prezzi della componente regolamentata che spaziano da +34,3% a 42,3%. 

Intanto l’Ipca (indice armonizzato dei prezzi al consumo), che è il sistema di misurazione dell’andamento dei prezzi di vari beni campioni ai fini del calcolo, anche per compensare la perdita del valore di acquisto del salario, è giunto al 3,2%. A conti fatti non è una situazione da prendere sotto gamba e le autorità governative non devono perdere tempo nel ritardare i provvedimenti necessari da contrapporre a questo malanno. Innanzitutto devono monitorare singola per singola componente dei prezzi dei beni di consumo e del costo dei servizi, per evitare una rincorsa speculativa che in verità abbiamo già subito per lassismo, come esperienza cocente quando entrammo nell’euro. In secondo luogo si deve intervenire sul costo della energia, che ripeto, per la sua dimensione di crescita e per la dipendenza che esercita per innumerevoli attività civili ed industriali, ci fa correre il rischio di veder saltare ogni equilibrio economico. 

Ecco perché il governo deve agire subito sull’accise come intervento di raffreddamento immediato, per frenare l’accelerazione costante che determina sui costi di ogni bene che dipende anche dal costo dell’energia fossile. Non è mai stato chiarito agli italiani quale dimensione assumono le tasse sulla componente carburante e da quale sistema perverso viene regolato. Si sa soltanto che la benzina vendendosi alla pompa a 1,8-1,9 euro al litro, un terzo di questo prezzo riguarda una parte che va in tasca a chi immette sul mercato il barile di petrolio, poi a chi lo raffina, al benzinaio che la vende ed infine circa due terzi dell’intero costo alla pompa va allo Stato. 

Una cifra enorme che, in termini di cash flow, gli italiani pagano allo stato, la cui dimensione a quanto pare è top secret, oltre le tasse dirette e indirette che vanno alle regioni, ai comuni, ed allo Stato; una cifra che ormai, appunto, impoverisce progressivamente il paese per la perdita di investimenti e per un mercato interno che langue per insufficienti salari super tassati. Se le cose stanno così, si faccia qualcosa. Si intervenga sulle accise per frenare l’inflazione. Diversamente la inflazione, come un corvo, ci porterà male.