Bisogna ri-armare la diplomazia. Ceruti firma su “Le Monde” un appello per la pace.

Mauro Ceruti, discepolo di Edgar Morin, ricopre un ruolo significativo nel panorama filosofico italiano. Laico e cristiano, nel 2007 è stato il principale artefice del Manifesto dei valori del Partito democratico.

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Guerra in Ucraina: “Non abbiamo l’ingenuità e l’avventatezza di credere che le armi basteranno a garantire la soluzione: rafforziamo la diplomazia!».

[L’appello è apparso ieri sulle pagine online del prestigioso quotidiano parigino].

Serve sollecitare ‘indefessamente’ l’Assemblea Generale dell’ONU perché l’Ucraina non è in grado di ottenere la pace senza mediazione internazionale, affermano in un appello su ‘Le Monde’, quasi 300 accademici, ricercatori e operatori umanitari.

La guerra che sta devastando l’Ucraina dal 24 febbraio 2022 ha rigettato in un’altra epoca l’Europa. Un’epoca in cui le armi hanno già rubato la vita a migliaia di bambini, donne e uomini, civili e militari. Le sue ripercussioni sulla sicurezza alimentare, sull’economia e sulle relazioni internazionali sono già allarmanti. Per gli europei, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è un atto terrificante, che ci lascia come pietrificati. Ai nostri schemi mentali sovvengono in eredità le guerre del XX secolo, ma chi può sostenere che le colpevoli tergiversazioni delle democrazie dinanzi alle minacce incombenti degli anni ’30 si applichino alla realtà odierna? Se la storia si ripete, ciò dipende meno dai fatti nudi e crudi (a volte sfruttati in modo selettivo per difendere un punto di vista sul conflitto in essere) che non da uno stato d’animo polarizzato che travolge i belligeranti e i loro alleati.

Abbiamo appreso dal passato come ogni guerra fosse accompagnata da meccaniche fatali che implicavano la demonizzazione regressiva dell’avversario e l’inconciliabile certezza, su entrambi i lati delle trincee, di difendere un ordine ‘giusto’. I nostri cimiteri civili o militari, come le nostre fosse comuni, attestano che in nome dei suoi più alti valori – branditi oggi sui media da coloro che non andranno a morire al fronte – l’umanità poteva sacrificare la sua giovinezza e la sua prosperità. Bisogna proprio accettare, ancora, un massacro sul suolo europeo in attesa di ricostruire, prima o poi, sopra le macerie?

Considerare seriamente i seguenti passaggi

Naturalmente, in questa guerra i protagonisti non si equivalgono affatto. Mentre oggi appare fuori portata –  neppure se ne ha l’avvisaglia – una qualche concordanza sulle responsabilità più remote, alcuni fatti oggettivi ci pressano nell’immediato. Il 24 febbraio 2022, un paese sovrano è stato invaso, aggredito e bombardato dal suo vicino, sicché ora esercita il suo diritto di legittima difesa. Iscritto in un contesto storico e geopolitico complesso ed esplosivo, il conflitto in corso esacerba le tensioni che gli preesistevano,tanto da poter causare persino una deflagrazione globale. Ora, senza considerare il peggio, ossia l’incidente o l’aggressione nucleare (ma come escluderlo del tutto?), temiamo che rimanere su questo percorso comporterà il massacro d’innumerevoli civili e militari, ucraini e russi (per limitarsi agli attuali belligeranti).

Poiché gli sforzi diplomatici sono per il momento infruttuosi, la risposta di paesi come Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Svezia, Finlandia, Polonia, Paesi baltici, Italia o Germania, consiste nell’invio di armi all’Ucraina. Questa opzione di emergenza ha consentito di respingere l’aggressione russa, ma ormai alimenta una preoccupante dinamica di crescita della letalità del conflitto, e quindi un rischio di escalation globale.

Insomma, queste armi sempre più potenti dovrebbero essere utilizzate per fermare l’invasione, per riprendere i territori conquistati dall’esercito di Vladimir Putin dal febbraio 2022 o per riconquistare la Crimea? Immaginiamo allora che l’Ucraina riprenda questo territorio, annesso con la forza dalla Russia quasi dieci anni fa: cosa può accadere subito dopo? Considerare seriamente i futuri passi, vuol dire ragionare in modo diverso rispetto alla logica dello scontro armato.

Infine, per quanto la grande maggioranza dei paesi del mondo condanni la Russia, il sostegno militare all’Ucraina stenta a raccogliere raccoglie consenso, come dimostra un recente sondaggio del Consiglio europeo per le relazioni internazionali. E dunque, sebbene riteniamo necessario il sostegno militare, non può essere scartato con un colpo di mano il dato del sondaggio.

Rafforzare la diplomazia

Al di là delle sanzioni economiche e delle forniture di armi, ora servono indicazioni di progressi diplomatici concreti. L’Ucraina non è in grado di ottenere oggi la pace senza la mediazione internazionale. Il sostegno militare da parte dei suoi alleati potrebbe essere un modo per indurre questo paese a prendere in esame una graduale risoluzione. La diplomazia deve quindi moltiplicare le sue iniziative e proporre opzioni ai paesi geopoliticamente legati alla Russia e a coloro che hanno deciso di non applicare l’attuale embargo.

Poiché oggi manca una mediazione politica e il Consiglio di sicurezza non ottiene l’autorizzazione ad andare avanti, bisogna rivolgersi indefessamente all’Assemblea Generale dell’ONU. È davvero impensabile porre oggi dei territori temporaneamente sotto protezione internazionale (dell’Onu?)?

«L’attuale dinamica, cioè la consegna di armi sempre più letali all’Ucraina, avviene a scapito della consultazione democratica. Fino a quando, e fino a che punto?»

Forse dobbiamo riprendere in considerazione gli accordi di Minsk II del 2015, conclusi sotto l’egida dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. In quel contesto, l’Ucraina, la Russia, la Francia, la Germania e le autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk avevano raggiunto l’accordo su un cessate il fuoco, con annesso un protocollo per l’uscita dalla crisi. Tali accordi non hanno funzionato e quindi devono essere riscritti, potendo contare comunque su una determinata base.

Superare il fatalismo bellicista e rafforzare la diplomazia, ecco la nostra unica via d’uscita: come possiamo credere infatti che dopo più bombe, morti e famiglie in lutto, o paesi militarmente coinvolti, un accordo sarà più facile e perciò più adatto a mantenere una pace duratura?

L’attuale dinamica, cioè l’invio all’Ucraina di armi sempre più letali, senza che venga dispiegata una strategia concertata per la de-escalation e la promozione della pace, deve essere lucidamente esaminata. Per giunta, questo modo di procedere sconta la mancanza di consultazione democratica. Fino a quando, fino a che punto?

Allontanarsi dal precipizio è la priorità

Noi non difendiamo un’idea di civiltà, ma un’urgenza: salvare la vita di migliaia di persone innocenti, ucraine e russe, e fermare l’ingranaggio della guerra. Quando arriverà il momento, il diritto penale internazionale dovrà perseguire e punire i responsabili dei crimini e sanzionare coloro che hanno imposto sofferenze terribili alle popolazioni civili, le hanno massacrate, torturate, e hanno commesso stupri o rapito bambini.

Ma per il momento,  la priorità è allontanarsi dal precipizio. La nostra esperienza del passato e l’esempio di molti conflitti contemporanei ci spingono a non scommettere esclusivamente sulle variabili della forza e sugli orrori del confronto militare, ma su una diplomazia avente il coraggio di imporsi nonostante le avversità e i meccanismi troppo noti di distorsioni e polarizzazioni ostili, che impediscono agli avversari di immaginare prospettive preferibili alla distruzione reciproca.

Alcuni giudicheranno questo appello eccessivamente ingenuo ed eccentrico, ma nella reale incertezza della situazione attuale non è più ragionevole puntare esclusivamente sulle virtù risolutive della forza armata.

L’Europa si è già fortemente impegnata per l’Ucraina. Abbiamo sostenuto e accolto gli ucraini nei nostri paesi, nelle nostre case e, come ricercatori e accademici, nei nostri laboratori. Resta all’Europa e al mondo il compito di avanzare ancora più audacemente verso la diplomazia. Sulla scia del filosofo Jürgen Habermas, invitiamo pertanto alla ricerca di un ‘compromesso sopportabile’.

Non abbiamo l’ingenuità e l’avventatezza di credere che le armi siano sufficienti a garantire la soluzione; e però, piuttosto che sperare in un’ipotetica pace dopo i massacri e sopra le macerie, sollecitiamo incessantemente i nostri diplomatici affinché vite preziose e risorse materiali non vadano sprecate all’infinito, per altro in un periodo in cui l’unica guerra sostenibile è quella che l’umanità deve ingaggiare contro le incombenti catastrofi ecologiche.

Primi firmatari

Rony Brauman, co-fondatore di Medici senza frontiere; Brad Bushman, segretario esecutivo dell’International Society for Research on Agression; Mauro Ceruti, filosofo; Valérie d’Acremont, professoressa di salute globale, Università di Losanna; Clara Egger, professoressa di relazioni internazionali, Università Erasme, Rotterdam, Paesi Bassi; Xavier Emmanuelli, ex segretario di Stato per gli interventi umanitari di emergenza, fondatore del SAMU sociale; Nathalie Frascaria-Lacoste, professoressa di ecologia, AgroParis Tech; Pierre Micheletti, membro della Commissione nazionale consultiva per i diritti umani; Edgar Morin, sociologo; Olivier De Schutter, relatore speciale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sulla povertà estrema e i diritti umani; Sophie Wahnich, direttore della ricerca, scienze politiche, CNRS/Université Grenoble Alpes, Grenoble.

Trova tutti i firmatari: 

www.docdroid.net/bnIpxs0/signataires-diplomatie-

[Traduzione a cura della redazione]