Il tempo per definire le future relazioni tra i ventisette e Londra è ormai poco: dal 1° gennaio prossimo il Regno Unito sarà un “Paese terzo”. Ma restano molti aspetti da definire in questo “divorzio” deciso dagli inglesi: i diritti dei cittadini, la protezione della pace in Irlanda, il mercato interno, la governance e i diritti di pesca.

Non sembra che però si possa arrivare ad un accordo soddisfacente. E anche se il Consiglio invita il capo negoziatore dell’Unione, Michel Barnier, “a proseguire i negoziati nelle prossime settimane e chiede al Regno Unito di compiere i passi necessari per rendere possibile un accordo” le parole del Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron dicono chiaramente “No all’accordo ad ogni costo, siamo pronti al no deal”.

Ma gli inglesi fanno, ancora la voce dura, chiedendo all’Europa di ammorbidirsi, pur se, da una analisi il prezzo da pagare per un eventuale No Deal è destinato a raggiungere a lungo termine un meno 8% del Pil nel Regno, pari a 160 miliardi di sterline o a 2.400 sterline pro capite. Stime nettamente superiori a quelle dell’impatto della pandemia di Covid-19 sul Paese che, stando alle previsioni della Bank of England, si fermano a un meno 1,7% del Pil nel 2022, dopo un presumibile rimbalzo positivo parziale.