Al di là del suo percorso politico e del suo modo d’essere nella politica contemporanea,  non c’è alcun dubbio che la candidatura di Calenda a Sindaco di Roma rappresenta un  aspetto politico di non secondaria importanza per l’attuale scenario pubblico italiano. A  cominciare proprio dalle prossime elezioni amministrative, in particolare nelle grandi città  italiane e, soprattutto, dalla capitale Roma. 

Ci sono almeno 3 aspetti che non possono non essere presi in seria considerazione dopo  questa candidatura, più o meno reale. 

Innanzitutto la messa in discussione, sin dall’inizio, dei caposaldi che in questi ultimi anni  hanno imperato nella scelta della classe dirigente politica. E cioè, i dogmi attorno ai quali  ruotava la propaganda e l’ideologia grillina. Ovvero, elevare l’inesperienza,  l’incompetenza, l’improvvisazione e la casualità a criteri decisivi e discriminanti per la  futura classe dirigente. La potenziale candidatura di Calenda – come, e molto più  autorevoli su questo versante, di altri esponenti politici ed istituzionali che sono circolati su  molti organi di informazione nelle settimane scorse ma che hanno già rinunciato, a  cominciare dal Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli – mette in discussione,  appunto, i dogmi, dell’impalcatura pentastellata che, invece dominavano in modo  incontrastato nella procedente tornata comunale del 2016. Ma era, appunto, un’altra  epoca storica.  

In secondo luogo il nome di Calenda esce dai tradizionali, e ormai un po’ logori, canoni  delle candidature a Sindaco nelle grandi e meno grandi città italiane. Ovvero, o essere  espressione dell’apparato grigio e asfittico di partito – come molti dei candidati che si  apprestano a celebrare le primarie per la città di Roma, ma la stessa cosa, ad esempio,  sta avvenendo a Torino – oppure la ricerca spasmodica di qualche figura della mitica e  troppo sovrastimata “società civile”. Una alternativa politicamente sterile perchè non  destinata ad esprimere alcuna novità rispetto alla tanto declamata ed annunciata  discontinuità nella selezione della classe dirigente rispetto alla fallimentare esperienza dei  5 stelle. Una figura come Calenda, al di là di come si giudichi il suo concreto percorso  politico, avrebbe il merito di incrinare questa sterile alternativa per immettere una iniezione  di fiducia e, auspicabilmente, di rinnovamento e di cambiamento del ceto politico nelle  amministrazioni locali. 

In ultimo, e forse è l’aspetto più importante e più rilevante, la necessità del progetto politico  ed amministrativo della città. Da troppo tempo, del resto, si invoca l’urgenza di compiere  un salto di qualità sul versante della selezione della classe dirigente da un lato e di evitare  di consegnare il futuro delle grandi città ad improvvisatori e a persone che prescindono da  qualsiasi esperienza politica e amministrativa. 

Certo, adesso tocca ai partiti e ai movimenti rispondere a questa candidatura/ provocazione di Calenda. Ma un dato è abbastanza scontato: o si ha il coraggio di fare un  passo in avanti oppure ci si limita, ancora una volta, all’ordinaria amministrazione e a  rincorrere le mode passeggere. Che poi, come quasi sempre capita, sono destinate a  sgonfiarsi nell’arco di poco tempo. Cioè appena si esce dalla propaganda, dagli insulti e  dagli slogan e si passa alla fase del governo, del progetto e della costruzione. Come  insegna la triste e decadente stagione del partito pentastellato di Grillo. A Roma come a  Torino come altrove.