CAMMINARE INSIEME 50 ANNI DOPO: L’ATTUALITÀ DELLA LETTERA PASTORALE DEL CARDINAL PELLEGRINO.

Pubblichiamo il testo della conferenza tenuta il 7 novembre scorso da Piero Coda presso la parrocchia di Vallo Torinese, dove il cardinale Michele Pellegrino ha vissuto dopo il suo ritiro da arcivescovo, in una giornata di riflessione a 50 anni dalla pubblicazione della lettera pastorale Camminare insieme.

Piero Coda

Cinquant’anni sono trascorsi dalla pubblicazione della Camminare insieme (C.I.) del cardinal Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino. E niente forse come ciò che stiamo oggi vivendo, ne può mettere più e meglio in luce il significato e la portata profetica: la convocazione del Popolo di Dio in cammino sinodale.

Certo, cinquant’anni fa la parola “sinodo” — che significa appunto letteralmente “camminare insieme” — non era di moda. Paolo VI , in verità, in concomitanza con la conclusione del Vaticano II aveva istituito il Sinodo dei vescovi, perché — affermava — continuasse a portare frutto quella comunione tra il Papa e i vescovi di tutto il mondo che si era sperimentata durante il Concilio. Era una messa in opera del principio della collegialità episcopale illustrata dal Concilio. Una tappa inedita e impegnativa, nella storia della Chiesa cattolica.

Così si esprime Pellegrino in un’intervista del 1981, quando ormai aveva lasciato il suo ministero: «La collegialità non ha ancora trovato esecuzione e non è facile che trovi esecuzione. Sì, sono stati fatti dei passi. I sinodi dei vescovi ad esempio, sia pure con i loro limiti, hanno segnato dei punti a favore di una collaborazione maggiore tra vescovi e Papa senza essere atti propriamente di collegialità. Senza dubbio. Ma le Chiese locali trovano difficoltà a prendere coscienza della dottrina conciliare e impegnarsi fino in fondo per attuarla» (F. Strazzari, Questa Chiesa, fra paura e profezia. Intervista esclusiva al cardardinal Pellegrino, in «Il Regno — Attualità», 8/1981, pp. 150-153).

Ebbene, il coinvolgimento di tutti i membri del Popolo di Dio nel cammino sinodale che stiamo oggi vivendo in una “prima assoluta” — in questa forma, nella storia della Chiesa — è lo sbocciare di questo seme, di questo «inizio di un nuovo inizio» (come l’ha definito Karl Rahner) nello spirito dell’implementazione della Chiesa comunione come Popolo di Dio, Corpo di Cristo, Tempio vivo dello Spirito Santo, «segno e strumento, in Cristo, dell’unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1), come insegna il Vaticano II.

La C.I. nella luce del messaggio del Concilio in attualizzazione del Vangelo e della Tradizione vivente e insieme in aderenza alla situazione della comunità ecclesiale e civile della Torino di quegli anni, è testimonianza profetica di questo stile e di questa figura di Chiesa. Quelli che Papa Francesco, nella scia del cammino percorso tra luci ed ombre dal Concilio sino ad oggi, ripropone con vigore altrettanto profetico a tutta la Chiesa. Così che la C.I. — per dirlo con lo storico Maurilio Guasco — ci è oggi ridonata come un «classico» che, «esprimendo attese e posizioni di un determinato tempo», «si fa interprete di sentimenti che vanno oltre il tempo storico» e, «riletta a distanza, conserva tutta la sua forza di provocazione, la sua capacità di far riflettere» (C. I. Rilettura ed attualizzazione, 1993). Basti questo per rendere ragione dell’impegno a tracciare alcuni spunti di rilettura della C.I. che qui propongo — con gratitudine e stupore — mettendola in relazione col processo sinodale.

Titolo, metodo e sguardo

Ciò che salta subito agli occhi, nel prendere in mano la C.I. leggendola nel contesto ecclesiale e socio-culturale entro il quale ha preso allora forma, è la sintonia con lo spirito che, per Papa Francesco, deve animare oggi il processo sinodale. Tre aspetti lo fanno intuire: il titolo, il metodo, lo sguardo.

Il primo lo si desume dal titolo stesso della lettera che è un calco in lingua italiana della parola sinodo, “cammino insieme”. Tutti abbiamo presente quanto Papa Francesco non si stanca di ripetere: ciò che Dio si aspetta dalla Chiesa nel terzo millennio è tutto racchiuso nella parola “sinodo”. Bisogna imparare a camminare insieme, come discepoli di Gesù e con tutti, tra gioie e speranze, dolori e interrogativi, guidati e sostenuti dalla luce del Vangelo nell’esodo che ci è chiesto di vivere dal «cambiamento d’epoca» che viviamo. Nella C.I., in verità, non c’è solo l’indicazione dell’essere/agire “insieme”: è questa, infatti, la comunione – sottolinea Pellegrino –, «l’idea centrale del Vaticano II » (tema di una sua meritatamente famosa conferenza tenuta a Bologna il 31 gennaio del 1973, nella celebrazione del decennio dell’apertura del Concilio). C’è anche l’indicazione del camminare: e cioè del mettersi in movimento, dell’uscire dall’accampamento… verso dove? verso di Lui, il Signore Gesù, in chi soffre, attende, grida, chiede… come? con uno stile rinnovato d’essere Chiesa, quella che la qualifica come popolo di Dio pellegrino lungo i sentieri della storia nella compagnia con tutti i fratelli e le sorelle in umanità.

C’è poi come secondo aspetto, fondamentale, il metodo con cui è stata pensata, pregata, scritta la C.I.: sinodalmente, e cioè attraverso una consultazione ampia, un dialogo perseverante, anche se a tratti difficile e persino conflittuale, un discernimento comunitario che alla fine porta il sigillo sapiente e autorevole del vescovo come Pastore che — direbbe Papa Francesco — sta davanti, in mezzo e dietro al Popolo di Dio di cui è servitore nell’amore di Cristo. Parole che sembrano tagliate su misura per il vescovo Pellegrino.

La C.I. è un esempio coraggioso e ispiratore, ante litteram, del metodo che oggi, molte volte con fatica per inerzia di quiete, quando non con scetticismo e resistenza, ma anche insieme — e sempre più — con gioia e persino con entusiasmo, stiamo imparando nel mettere in atto il cammino sinodale. Perché la sfida e la chance del processo sinodale è questa: che il suo oggetto (l’essere Chiesa sinodale) è il suo metodo (il farsi, l’agire come Chiesa sinodale). Chiesa dove — scrive l’Apostolicam actuositatem — si dà certo «diversità di ministero» ma «unità di missione», sul fondamento del fatto che tutti, essendo battezzati in Cristo Gesù, siamo «uno» in Lui (cfr. Gal 3, 28), nella varietà delle vocazioni, dei carismi e dei ministeri: chiamati a riconoscerci ed amarci l’un l’altro, e ad amare tutti, a partire dagli ultimi che in verità sono i primi, come Lui ha amato noi — ciascuno di noi.

Infine, c’è un terzo aspetto, non ultimo per importanza, di questa sorprendente sintonia di spirito — che dice l’autenticità evangelica e l’attualità sorprendente della C.I. —: lo sguardo da cui nasce e a cui dà parola: quello che Papa Francesco chiama «lo sguardo del discepolo». Certo, si tratta di leggere le contraddizioni di una società come quella della Torino degli anni ’60 e ’70, dove la comunità ecclesiale ha da riposizionarsi per essere, con incisività e senza compromessi, sale e lievito di verità e libertà, di giustizia e solidarietà.

Ma ciò lo si può fare — precisa Pellegrino — quando «qualsiasi valore venga proposto al cristiano» sia «visto e presentato nella luce della fede e in ordine all’adempimento del precetto primario dell’amore. La fede ci presenta una visione integrale della vita, nella quale l’esistenza terrena, dono di Dio e valore da riconoscere e promuovere in me e negli altri con generoso impegno individuale e sociale, non è conclusa in se stessa, ma ordinata alla vita eterna. L’amore ha Dio come oggetto, o, meglio, come dialogante assolutamente primario; in Dio e per Dio amerò il mio prossimo e se non amo il prossimo non amo Dio» (n. 6).

Pellegrino riassumerà incisivamente questo sguardo nel 1974, nelle riflessioni proposte alla Diocesi su «Uomo o cristiano?»: «né l’annuncio di Dio dimenticando l’uomo, né la liberazione dell’uomo dimenticando Dio».

 

 Fonte: L’Osservatore Romano – 12 novembre.

Titolo originale completo: Camminare insieme 50 anni dopo: l’attualità della lettera pastorale del cardinale Pellegrino sul cammino sinodale. La Chiesa come comunione – Tempio vivo dello Spirito Santo.

 

 

Testo Integrale di Piero Coda

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