Capitalismo infelice

Perché occorre superare l’utopia dell’autoregolazione dei sistemi di mercato e salvare il sistema economico dai suoi veri nemici. Spunti dall’ultimo rapporto Oxfam e dalla recente opera di Luigino Bruni

Articolo già pubblicato sulle pagine di www.cittanuova.itca firma di Silvio Minnetti

L’industria è in frenata a dicembre. Son crollati fatturato e ordinativi. In calo del 7,3% il giro d’affari. Mai così dal 2009. Lo spread è salito a 274 punti a febbraio. È un macigno sull’andamento dell’economia italiana già gravata da un enorme debito pubblico. Viene infatti confermato il rating BBB con Outlook negativo.

Il rapporto Oxfam 2019 evidenzia poi l’aumento del divario nel mondo. Si denuncia un’ingiusta distribuzione della ricchezza. Ogni giorno muoiono 10 mila persone perché non possono permettersi cure sanitarie. E 262 milioni di bambini non vanno a scuola.

Come curare le disuguaglianze? Certamente con un fisco più equo. Se l’1% dei più ricchi del pianeta pagasse l’1% in più di imposte sul patrimonio ci sarebbero risorse per l’educazione e la salute di intere popolazioni. Poi occorre un nuovo pensiero economico come strumento di relazioni umane, educative, formative ed inclusive, ben oltre il neoliberismo in crisi.

Luigino Bruni ha sintetizzato questa preoccupante situazione di ingiustizia sociale con la definizione di “capitalismo infelice” (cfr. L. Bruni, Capitalismo infelice, Vita umana e religione del profitto, Giunti, Firenze 2018). L’ideologia del business è dominante nella nostra epoca. Il suo enorme successo negli ultimi decenni del ‘900, fino al 2008, deriva dal fatto che non si presenta come un’ideologia o una religione, anche se ne ha alcune caratteristiche. Appare come una tecnica neutrale valida a livello universale.

team-spirit-1544791_1280

Come uscire da questa situazione? L’umanità ha bisogno di un nuovo paradigma per un’economia diversa e civile. La dimensione sociale e religiosa del capitalismo ha invaso ogni aspetto della vita. Le imprese, la scuola, la stessa politica. Il lavoro è diventato uno strumento per accrescere il consumo idolatrico dei beni. Meritocrazia e incentivi sono diventati un dogma. Noi siamo soltanto clienti di questa nuova religione, secondo Bruni. Viene enfatizzato il merito e non il bisogno. «La tanto osannata meritocrazia è in realtà un disvalore – ha denunciato papa Francesco –, essa affascina, perché usa una parola di per sé bella e ricca: merito. Ma la strumentalizza e la usa in modo ideologico, snaturandola e pervertendola. La meritocrazia sta in effetti diventando una legittimazione etica delle disuguaglianze e delle esclusioni. E il nuovo capitalismo, tramite la meritocrazia, da una veste morale a tale disuguaglianza, perché interpreta i talenti delle persone non come un dono ma come un merito» (Discorso al mondo del lavoro, Genova, 27 maggio 2017).

Così l’ideologia del business è diventata la nuova triste visione del mondo. Il denaro infatti ha assunto una natura “spirituale” e ha cancellato la gratuità e la libertà nei rapporti tra lavoratori e imprese. Questo è il nuovo spirito dell’economia del nostro tempo in cui sono prosperate le gravi disuguaglianze del capitalismo infelice. L’ideologia manageriale manipola e svilisce valori come comunità, stima e riconoscimento. Servono organizzazioni bio-diversificate, attenzione ai valori della persona, virtù etiche e civili per trasformare il mercato e riconfigurare l’economia.

Chiediamoci ora da che parte oscilla il pendolo dell’economia. Quali sono i limiti del mercato? In alcuni periodi degli ultimi 200 anni il capitalismo ha registrato l’influenza dei mercati a spese dei governi. In altri abbiamo visto il predominio dei governi a spese dei mercati.

Il futuro che cosa ci riserva? Stato, mercato e società generativa devono assicurarci il benessere delle persone senza forzature ideologiche. Non è facile trovare oggi un equilibrio di fronte a eventi dirompenti come l’inquinamento e i cambiamenti climatici, con le crescenti disuguaglianze nei singoli Paesi e nel mondo.

Il mercato finirà per scontrarsi con i suoi limiti avendo acquisito un potere maggiore con la globalizzazione? Ora che questa è in crisi, lo Stato tornerà a governare l’economia con la sua supremazia? Assicurerà il welfare riformando il capitalismo “infelice” o questo sarà rovesciato? Occorre superare l’utopia dell’autoregolazione dei sistemi di mercato e salvare il sistema economico dai suoi veri nemici, che possono essere i capitalisti stessi. Ritorniamo all’economia civile.