Cattolici Democratici: quale iniziativa per le europee?

La prospettiva del “ ricominciare”è collocata sullo sfondo di un orizzonte dilatato.

Da buon torinese, Giorgio Merlo, richiama lo stupendo libro dell’altro torinese Primo Levi per chiedersi “ se non ora quando”, nel porre sul tavolo la questione della ripresa dell’iniziativa dei democratici d’ispirazione cristiana, a partire dalle prossime elezioni europee. Vicenda complessa da affrontare e, soprattutto,  da dirimere.

Molti ritengono che si tratterà di un vero e proprio referendum sui destini di una delle più importanti costruzioni democratiche, economiche, sociali e culturali dell’epoca moderna. Un appuntamento,  dunque, che appare già determinante per oltre 500 milioni di persone.

Momento della verità anche per l’Italia. Con il rischio,però,  di vedere sovrapporre la dimensione sovranazionale alle tante questioni interne che ci troviamo dinanzi dopo gli sviluppi dell’esito del sommovimento segnato dai risultati dello scorso 4 marzo.  Un rischio concreto se, soprattutto, si dovesse finire a far coincidere il responso europeo con quello di un eventuale ricorso anticipato alle urne per il nostro Parlamento.

E’ questo un fenomeno sicuramente destinato ad interessare altri paesi europei. A partire dalla Germania in cui forte è la tensione creata dal problema dell’immigrazione, dai risvolti importanti sia nella dimensione nazionale, sia in quella internazionale. Autentica occasione per provocare una vera e propria deflagrazione dei vecchi equilibri europei se non verranno trovati convergenti  e comuni strumenti di intervento.

Non è da escludere che i seggi del prossimo 23- 26 maggio 2019 si apriranno in un quadro internazionale ancora più diverso è più incerto a seconda degli effetti dell’aumento dei tassi d’interesse, dalla fine del Quantitave easing della Bce, della possibile conclusione del processo Brexit, l’abbandono cioè da parte del Regno Unito, la cui data è fissata per il prossimo 29 marzo 2019, dall’esito delle elezioni di medio termine negli Stati Uniti.

Sullo sfondo, inoltre, restano le scure nubi legate all’aspro scontro in atto con Russia e Cina e la gravissima situazione  nell’area mediterranea e del Golfo Persico, a causa di quello che è ormai un confronto aperto tra Arabia Saudita, Stati Uniti ed Israele, da una parte, e Iran dall’altra. Un vero e proprio scontro, giocato al momento con le armi in Siria e nello Yemen imbracciate da interposta persona. In questa situazione di conflitto si inserisce la spaccatura interna al mondo sunnita con Fratelli Musulmani, Qatar e Turchia su posizioni sempre più distanti rispetto all’asse Ryad, Tel Aviv, Washington.

Questo contesto porta i suoi effetti persino verso il Pakistan,  l’India e la Cina, e soprattutto per quanto riguarda anche l’esponenziale vendita di armamenti. La Cina non resta certo a guardare e riesce a muoversi, come del resto fa in Africa da anni, in maniera felpata, ma non per questo meno incisiva.

La questione della Pace, dunque, è la più importante ad essere in discussione e si percepisce sempre più la portata dei forti messaggi del  Papa in questa direzione. Oggi tutti noi, Francesco per primo, avvertiamo davvero le conseguenze della fine degli equilibri della Guerra fredda .

Appariamo impreparati a discernerli e, soprattutto, ad affrontarli con nuove categorie mentali e con una adeguata  iniziativa diplomatica.

Noi italiani, in particolare, non sembriamo avvertire la marginalità delle nostre problematiche e l’incapacità ad inserirle in un contesto più reale: quello dei grandi mutamenti della geopolitica mondiale.

Così , le nostre analisi sono scarne e limitate; insufficienti a farci inserire in una dinamica idonea  che, per prima cosa, richiederebbe il convergere sul comune interesse, sulla ricerca di motivi di coesione, basato sul realismo e l’assunzione di una responsabilità nuova e feconda.

Invece, rischiamo di andare alle elezioni europee muovendoci  nella sola dimensione domestica dei nostri problemi, a partire da quella dell’immigrazione,  e perdendo ancora una volta l’occasione per sostenere la nostra presenza politica, soprattutto nel Mediterraneo e in Europa, la nostra struttura produttiva, la nostra ossatura sociale più capaci a meglio tutelare i nostri interessi ed il nostro ruolo.

Del resto, nuove situazioni si sono determinate, mentre persistono insolute  vicende storiche del Paese. Alcune affondano persino nel dopo 1870. A partire dalla mal fatta e incompleta realizzazione di una autentica unità che ci lascia un Mezzogiorno ancora vittima del fenomeno dell’emigrazione e distante,  tantissimo, dalla media nazionale ed europea in relazione a tanti parametri di riferimento.

Questo insufficiente riscatto meridionale ha anch’esso contribuito alla diffusione  in tutto il Paese del male atavico e perverso della criminalità organizzata. Ciò costringe a prendere atto di  un’altra grave carenza: quella della gracilità sostanziale dello Stato e dell’apparato istituzionale. Tanti sono stati gli appuntamenti mancati lungo la strada di  una vera riforma verso cui andarono già le sollecitazioni accorate, sin dagli inizi del ‘900, di Sturzo, Salvemini, Spaventa. A conferma del fatto che la costruzione della “ casa comune” deve costituire il primo punto condiviso di partenza, al di là delle diverse istanze ideali che ci muovono.

Corre l’obbligo di riconoscere   che quella del rapporto del cittadino con le istituzioni è sempre stata una delle principali  architravi cui è stata appoggiata la costruzione europea, assieme a quella della coesione e dello sviluppo tecnologico.  

Nonostante un parziale “ snaturamento” di questa spinta comunitaria, all’Europa molto si deve per i passi in avanti fatti sulla strada della tutela del cittadino e  del consumatore. Molti i ritardi superati dall’Italia grazie all’Europa, nonostante le resistenze di radicate mentalità nel nostro sistema burocratico ed i limiti della classe politica nostrana.

Non è stato fatto abbastanza, evidentemente. Se oggi è vero che siano costretti a chiedere un’Unione meno distante e capace di ritrovare lo spirito “ popolare” auspicato dai padri fondatori.

E’ pur necessario, però, riconoscere i progressi raggiunti. A partire dalla consapevolezza  sempre più diffusa di nuove necessità di partecipazione e di decisione. Troppo spesso negate, o distorte, dagli egoismi nazionali riaffiorati non appena la crisi economica, e noi ne abbiamo avute almeno due di importanti negli ultimi decenni, ha messo a nudo in maniera esemplare disuguaglianze e contraddizioni.

Un discorso analogo, conseguentemente, riguarda l’euro, la cui cattiva applicazione a livello comunitario e a livello nazionale è evidente. In questo vi è molto dolo anche da  parte italiana. Ma sembra che questa , delle responsabilità nostrane nel contesto europeo, sia questione archiviata. Purtroppo, è più facile esportare verso altri parte del fardello  di un fallimento , invece, da condividere se vogliamo davvero porvi un rimedio condiviso.

I cattolici democratici, guardando all’appuntamento europeo  hanno una responsabilità di riflessione in più e, secondo alcuni,  una occasione in più.

Abbiamo tutti concordato sul convincimento che il 4 marzo abbia segnato il fallimento della presenza organizzata dei cristiani italiani in politica. L’irrilevanza maturata nel corso degli anni è apparsa senza alibi e senza giustificazione alcuna.

Contrariamente allo scetticismo di molti, però, l’esito delle elezioni politiche ha paradossalmente prospettato la possibilità di un riscatto, capace di essere non un impegno di rivalsa e da “ reduci”.  Gran parte del mondo cattolico non è e non si sente fatto di nostalgici o da reduci.

Forte è stata, ed è tuttora,  la spinta a cogliere le nuove opportunità offerte da un “ ricominciare”. Si tratta di un sentimento sempre più diffuso tra la nostra gente. Questa è la sensazione emergente all’intorno di un infittirsi di contatti, confronti, riunioni, discussioni in atto.

L’intervento pubblico di Giorgio Merlo, che si aggiunge ad analoghe ricorrenti riflessioni non ufficiali, ha il pregio di porre per tempo la domanda: possono le elezioni europee contribuire affinché i cattolici democratici italiani si ritrovino e siano in grado di rimettere in campo una loro voce?

Esistono le capacità per  richiamare il Paese ad un confronto sulla necessità di affrontare il “ nuovo”, anche quello emerso con il 4 marzo, adeguando all’oggi i grandi insegnamenti e le esortazioni a riscoprire rinnovati sensi di solidarietà, di comunità, delle tante comunità che formano la nostra Nazione?  Nazione, intesa nel senso etimologico del termine, cioè un insieme di patrimoni comuni di valori ed umanità, sensibilità e lingua, sentimenti culturali e religiosi, modi di sentire e vivere la vita. ( Dalla Treccani. Nazione : “

).

Per alcuni di noi sì, per altri no. Questa  è la risposta cui si può giungere al termine della stagione, ancora in corso, delle riunioni e degli incontri avviati lungo gli ultimi tre mesi.

Parto dalle ragioni del no e quelle del sì, prima di dire la mia.

C’è ancora troppa divisione. L’appello del cardinal Bassetti, da tutti apprezzato e recepito, visto quasi come una miracolosa assunzione di responsabilità civile da parte di una parte importante degli uomini di Chiesa, ancora deve produrre i suoi frutti affinché si ritrovino le occasione per stare” Insieme” al servizio del Paese,superando quella divisione dei cattolici impegnati nella morale da quelli più convinti della necessità di un coinvolgimento sociale e politico.

Così, dobbiamo attendere che il reticolo di gruppi, partitini, associazioni, singoli personaggi, professori universitari ed intellettuali d’ispirazione cristiana maturino la necessità  di ritrovare le ragioni di uno stare insieme e superare le tendenze al “ riflusso” nella sfera esclusivamente meditativa, nell’impegno caritatevole personale o comunque organizzato, nella ricerca solitaria di pensiero, nella distanza dalla politica, che in realtà è distanza da una sottospecie dell’impegno pubblico:  quello cui siamo stati familiarizzati negli ultimi 25 anni.

Il tanto  associazionismo organizzato ha avuto il grande merito di tenere accesa una fiammella; la teoria della “ diaspora” ha avuto il fascino di far sentire  partecipi del suggerimento evangelico del lievito; partiti e partitini d’ispirazione cristiana hanno marcato la speranza di una possibile ripresa di presenza.

Tutto ciò non è bastato. Tutto ciò, però, ancora non appare superato. Questo  porta i sostenitori del no a ritenere che un impegno elettorale adesso resti  non opportuno, non praticabile. Deve essere atteso il sostegno del segno dei tempi che, ancora, non compare.

Le divisioni avvertite all’interno della Chiesa costituiscono un altro motivo di perplessità.

Tutti sono consapevoli che la Chiesa di oggi è enormemente diversa da quella del secolo scorso. Siamo davvero in un altro millennio e la nuova immagine e la presenza dei vertici e della comunità ecclesiale sono chiamate ad essere, ed anche ad apparire,  più adeguate ai tempi ed alle nuove sensibilità della stagione che ci è dato di vivere.

Superando l’idea  di una antica tentazione,  quella di un coinvolgimento di  natura “elettorale”, caratteristica di altre stagioni, la Chiesa, grazie agli ultimi papati, ha enormemente dilatato la propria capacità di parlare al mondo intero ricordando con continuità, e  successivi, progressivi arricchimenti, la sostanza del messaggio evangelico, e delle sue coerenti conseguenze, pure sotto il profilo della responsabilità pubblica.

Emerge nella sua grandiosa importanza il grande dono fatto ai cristiani, e non solo, degli insegnamenti della Dottrina sociale.  In particolare, l’individuazione di un campo di azione, proprio specificatamente dei laici, ma non solo di essi, sul versante di quella carità pubblica appellata da  Paolo VI come la “ forma più alta”: l’impegno politico.

Non sono passate inosservate, dunque,  alcune letture del ruolo del cattolico nella sfera pubblica capaci di suscitare scalpore e perplessità,  rinfocolando ancora di più la discussione tra la prospettiva della “ testimonianza” e quella dell’impegno politico istituzionale.

Mi riferisco in particolare a quella su Civiltà Cattolica di padre Spataro,  giunto a dire di no “ persino” all’idea della formazione di un partito di cattolici,  e al professor D’Agostino che ha invitato i cattolici a lasciare la politica ai “ politici di riflessione”; mi scuso con lui della semplificazione di un pensiero più articolato, ma il cui succo è questo.

Le perplessità sono state forti perché qualcuno ha voluto collegare queste, ed altre, prese di posizione addirittura ad un  convincimento diretto in tal senso del Santo Padre il quale, invece, ha continuato a sostenere la necessità di un impegno in politica con la “ P” maiuscola.

La sensazione di perplessità è  andata, dunque, oltre. E’ divenuta incertezza, se non confusione, di cui, ovviamente, risentono i semplici cristiani e i vescovi.  Siamo di fronte ad una “ forzatura” del pensiero del Papa o alla sottovalutazione della considerazione che quel pensiero non può essere ridotto ad una sua lettura solo in chiave italiana, abbracciando esso doverosamente, invece,  la complessità enorme di questioni e situazioni tanto non coincidenti alle diverse latitudini?

Resta in ogni caso la domanda: qual è la giusta via? Una risposta cui sono chiamati i laici all’interno di un impegno di costruttiva assunzione di una propria specifica responsabilità, singola e collettiva. Un passaggio fecondo in cui si impegnarono sia don Luigi Sturzo, sia Alcide de Gasperi.

Tutto ciò, però, sembrerebbe congiurare per alcuni a favore di un “ no”, sia pure visto, comunque, quale figlio della speranza dell’arrivo di  occasioni migliori e del manifestarsi dei segni dei tempi in un prossimo, auspicabile futuro.

I sostenitori del sì sono mossi da una notevole voglia di ricominciare. Avvertono forte la necessità di presentare al Paese proprie proposte, proprie suggestioni. Respirano  la certezza che solo l’adesione, ed adeguato adattamento ai nostri giorni della Dottrina sociale, possa far superare gli effetti della crisi.

Crisi, diventata questione antropologica anch’essa, assieme ai gravi problemi morali del presente, tanto ha influito sulla persona, sulla famiglia, sui corpi intermedi.  Siamo di fronte ad una situazione economica e sociale che ha finito per stravolgere le relazioni umane, ha disarticolato famiglie e comunità: ci presenta donne ed uomini che non sono più quelli che dovrebbero essere.

Chi è convinto del sì alla partecipazione alle elezioni è certo della possibilità di inviare al Parlamento europeo dei deputati motivati e decisi a nuove battaglie in maniera coerente;  a partire dal confronto con quel Ppe apparso sempre più preda delle visioni neo liberiste e affatto “ popolare”.

Niente più di un impegno elettorale può far riscoprire le ragioni antiche e fondate di un’assunzione di responsabilità pubblica. Nuovi talenti e nuove risorse umane e sapienziali possono emergere. Sopite capacità organizzative, a partire dalla impegnativa sfida posta dalla raccolta delle firme, possono risvegliarsi.

Il voto europeo, inoltre,  è basato sul sistema proporzionale. Questo, può favorire una espressione di opinione altrimenti ostacolata dalla legge elettorale italiana, tendente comunque alla polarizzazione e caratterizzata dalla presenza di sbarramenti introdotti per favorire le organizzazioni politiche tradizionali. Si ritiene, così, che per i cattolici italiani possa giungere un’occasione unica.

La mia opinione: vi è un’occasione da cogliere. Non vi è dubbio.

Soprattutto, per l’opportunità offerta di  misurarci con la necessità di parlare al di fuori dei nostri ristretti circoli e mostrare la capacità di affrontare i problemi posti dalle esigenze della gente in carne ed ossa.

Ci si troverebbe dinanzi all’opportunità di interloquire con le questioni vere dell’Europa e dei suoi popoli e mostrare l’adeguatezza nel trasformare i principi di riferimento in proposte politiche, ragionevoli, realistiche e sostenibili. Una sfida non da poco.

Ho già fatto riferimento alla raccolta delle firme: tra le 30 mila e le 35 mila per ciascuna delle nostre cinque circoscrizioni, a meno che la presentazione non avvenga sotto il simbolo di un partito già presente alle precedenti elezioni europee o nazionali e che ha visto eletto almeno un parlamentare.

Deve, comunque, essere affrontato il problema del simbolo. Altra questione importante, giacché molte sono le sigle di quanti si sono organizzati negli anni passati. Tutti convinti di avere un bel simbolo, un ottimo programma, una rete già presente e pronta  nel territorio. Esiste, così, la necessità di cogliere, tutti, la forza dell’umiltà e dello spirito di collaborazione nel partecipare ad un più alto progetto comune.

Altre questioni, conseguenti: definire le proposte da sottoporre al vaglio degli elettori; l’organizzazione di un gruppo promotore capace di individuare le migliori candidature, trovare le risorse umane, la struttura di comunicazione, cosa che oggettivamente scarseggia alle nostre latitudini; la struttura organizzativa; l’apporto finanziario.

Tutto ciò dovrebbe trovare una risposta al più presto, se si intendesse ottemperare a ciò che prescrive la legge elettorale europea la quale, sostanzialmente, richiede, nella situazione data,  che a novembre al più tardi sia pronta una macchina con il motore acceso.

Credo, però, che la questione della partecipazione alle elezioni europee, come fa del resto Giorgio Merlo, debba essere inserita in un processo dal lungo respiro, in vista del ritorno nell’agone politico di un’iniziativa politica capace di rimettere in gioco la voce dei cattolici democratici.

E’ così necessario andare alla sostanza di un ragionamento fondato attorno ai punti di riferimento.

E’ chiaro, per prima cosa, che l’appello del cardinal Bassetti a stare “ insieme” debba essere messo in pratica senza retro pensieri,  superando antiche e consolidate divisioni, andando oltre ogni possibile pulsione opportunistica.

E’ altrettanto vero che non possiamo pensare al ritorno di un partito unico dei cattolici. L’impegno politico dei cristiani può essere declinato diversamente, a seconda di diverse sensibilità e prospettive e questa possibilità  deve essere accettata e trovare l’adeguata considerazione.

Pertanto, per quanto riguarda me ed altri amici con cui è avviato un percorso di riflessione sul “ ricominciare”, e con i quali si è raggiunto un preciso convincimento sulla situazione in cui versa la nostra realtà frammentata, vi sono dei punti fermi da precisare: il nuovo movimento dei cattolici democratici, a partire dalla eventuale partecipazione alle elezioni europee, deve essere caratterizzato da una forte autonomia.

Un’ autonomia costruttiva,  perché aperta al dialogo con tutti sui problemi concreti;  autonomia identitaria, perché riferimento chiaro ed inequivocabile alla Dottrina sociale della Chiesa vista nella sua complessità, sia per gli aspetti antropologici, sia per quelli sociali.

Autonomia, allora, di  pensiero e di iniziativa politica, anche innovativa nel linguaggio e nel metodo,  capace di portare proposte originali all’attenzione di cristiani e non, soprattutto ai non votanti, capace di essere ed apparire come una parola nuova perché si tratta di un invito all’impegno concreto sulla base del possibile.

Dunque, nessun cedimento alle derive anti europee ed alle derive di destra. Ma neppure partecipazione ad uno schieramento alternativo giustificato solo sulla base di uno stato di emergenza democratica. Lo stato di emergenza democratica, che pure potrebbe verificarsi, lo si previene e contrasta non su di una logica di demonizzazione,  e la scelta di un’altrettanto rissosa contrapposizione, bensì portando all’attenzione della gente, e costruendo nel concreto, una ricchezza di opzioni alternative possibili, oltre che la forza del ragionamento basato sullo spirito esclusivo del servizio.

Un rinnovato movimento cattolico democratico troverà giustificazione solo nella capacità di inserirsi in  dinamiche nuove, anche in quelle che ci offre il presente; se sarà capace di sfuggire alla trappola delle logiche contrapposte e del bipolarismo, vecchio o nuovo che sia;  se saprà indicare una via diversa, superando la ricerca improduttiva, anche se apparentemente valida elettoralmente, dello scontro per lo scontro e della retorica finalizzata alla sola ricerca del facile consenso.

Soprattutto,  se si guarderà alle cose senza valutare la ragione dell’impegno basato esclusivamente su di una raccolta di voti, se si sarà, eventualmente,  in grado di realizzarla.

La prospettiva del “ ricominciare”è collocata sullo sfondo di un orizzonte dilatato. L’intelligenza politica sarà misurata dai passi compiuti verso quello scenario nella misura giusta e con intenti  coerenti.

Giancarlo Infante

 

Ps) La gentilezza e la pazienza di Lucio D’Ubaldo mi hanno dato la possibilità di ritoccare il testo per rimediare ad alcuni refusi.

Ne approfitto per aggiungere quella che potrebbe essere una considerazione pratica per quanti ritenessero opportuno accettare la sfida posta dalla eventuale partecipazione alla competizione europea.

Alla luce dell’esperienza maturata nell’ultimo anno, credo che realisticamente l’unica forma concreta possa essere, oggi,  quella di dare vita ad una “ lista elettorale”, in attesa che il dibattito in corso porti alla nascita di un contenitore comune, partito? movimento?  la discussione è aperta davvero!

Una “ lista elettorale” basata,  oltre che sull’obbiettivo di realizzare  una presenza autonoma rispetto alla destra e alla sinistra, e di portare una decisa battaglia alle politiche neo liberiste imposte dalla destra finanziaria e politica, sulla  scoperta e valorizzazione di nuovi talenti.

Giovani e meno giovani. Quelli che, soprattutto, non abbiano legato le loro facce alle fallimentari esperienze degli ultimi due decenni. Poi, il futuro ci dirà molto di più e ci indicherà un cammino.