Cattolici e politica: L’Europa come nostro orizzonte “domestico”

la discussione su “cattolici e politica” nasce da un problema vero e profondo.

Per quanto si possa prestare a letture bizzarre (come quella che evoca un “partito dei Vescovi”) la discussione su “cattolici e politica” nasce da un problema vero e profondo.
Se ci limitassimo alle apparenze di superficie, si potrebbe dire: ma quale “assenza” dei cattolici dalla politica? Mezzo Governo si proclama “defensor fidei”, si citano Papi e statisti alla Degasperi ad ogni piè sospinto, si fanno direttive per consigliare l’allestimento del Presepe, si rammenta l’obbligo del crocifisso negli uffici pubblici, si tuona sulla inviolabilità dei principi “non negoziabili”……..
È una ostentazione inaudita, pre conciliare, sostanzialmente “pagana” dei segni cristiani.
Sappiamo bene – Francesco ce lo ricorda sempre – che la croce dei cristiani è un segno di coraggio non di paura; di speranza, non di chiusura; di libertà e non di asservimento ad un potere in cerca di legittimazioni e di collanti che non riesce a trovare altrove.
Quando nella storia è stato il contrario, si è trattato di periodi non felici per la comunità civile e per la stessa Chiesa.
La  “pubblicistica dei segni cristiani” da parte del Potere – in ogni caso – non risolve evidentemente il problema se proprio in questa fase della nostra vita sociale e politica ritorna con insistenza il tema dei “cattolici in politica”.
E infatti – in questo dibattito – si parla di altro. Di due cose in particolare.
La prima è “pre politica”, in realtà.
Si avverte che il tessuto sociale e civile del Paese è sempre più lacerato e disperso.
Cresce una Italia della sfiducia, del litigio e della rancorosa chiusura nelle proprie paure, come ci dice anche il recente rapporto del Censis.
Scarseggia una linfa vitale che unisca e rilanci l’idea di “comunità”.
Sta in questa emergenza “pre politica” il primo richiamo ad una nuova militanza sociale e civile da parte dei cattolici italiani.
È una scommessa culturale: come contrastare la deriva individualista senza ripiegare nella vecchia mitologia del “collettivo” tipica del Novecento.
Alessandro Barrico, nel suo ultimo libro “The Game”, ha ben descritto un fatto: non è tanto la tecnologia del Web che sta cambiando gli uomini, sono gli uomini che avevano un bisogno radicale di protagonismo personale, oltre le élite e lo hanno visto corrisposto da questo nuovo gioco.
Da questo gioco, che ha i suoi pro e i suoi contro, anche micidiali come sappiamo, non intendono comunque più uscire e non usciranno: inutile attardarsi in patetiche nostalgie e improbabili anatemi.
Dunque, la sfida – anche per i cattolici – è come umanizzare il “nuovo gioco” e piegarne le potenzialità enormi in ragione di una nuova idea di comunità solidale.
Legata alla prima, vi è poi la seconda cosa di cui si parla in questo dibattito ed è invece più precisamente riferita alla politica in senso stretto: l’auspicata presenza di una “cultura politica collettiva” (al di là delle singole testimonianze personali), che sappia reinterpretare i valori della tradizione cattolico democratica nello scenario di oggi, con un necessario rinnovamento di idee, linguaggi, forme e classe dirigente.
Sono le gravi emergenze in atto oggi nel Paese che rendono doveroso riproporre le vocazioni di questa cultura. Ne riprendo alcune.
1. Una idea di “politica” che non sia “risposta” passiva alle pulsioni della gente, ma indicazione responsabile di una meta, di un percorso possibile, anche con il coraggio di un “rischio” educativo. La politica non è onnipotente, vive solo di umiltà: ha però il compito di scorgere la filigrana del nuovo disegno anche mentre la vecchia trama si sta lacerando e di condurre la comunità sul sentiero sicuro, con mano dolce ma salda.
2. Una matura visione della “leadership”, che presuppone solidità interiore, fermezza di principi, educazione personale ad un uso sobrio del potere, di ogni potere; vocazione alla “mitezza”, ricordando Mino Martinazzoli.
3. Una cultura ( una religione civile, vorrei dire) delle “istituzioni pubbliche” intese non come un campo di battaglia da conquistare, ma come la Casa Comune, da amministrare pro tempore con saggezza ed equilibrio.
4. Una adesione piena alla “democrazia”, incompatibile con pericolose derive illiberali e fondata su un presupposto sociale e comunitario.
Aldo Modo, fin dagli scritti giovanili del 1946, sosteneva che “lo Stato è, nella sua essenza, società che si svolge nella storia, attuando il suo ideale di giustizia.”
Ciò postula, oggi, una “terza via” tra la deriva post democratica (le “democrature a base social-populista, oggi così di moda e così ammirate dalla maggioranza di governo e – ahimè – dai cittadini) e la difesa fredda e rassegnata delle sole regole formali della democrazia rappresentativa.
5. L’Europa come nostro orizzonte “domestico”. Chi oggi si rallegra della crisi dell’Unione Europea, sperando che così si allentino i nostri vincoli finanziari, commette un grave errore di miopia sia sul piano economico e finanziario (almeno per un Paese come l’Italia) sia su quello politico. A meno che non di errore si tratti, ma di una precisa strategia: una sorta di “intelligenza” (o, meglio, di attitudine al ruolo di utile idiota) con chi, sul piano internazionale, sta scommettendo contro una Europa unita e forte.
6. Le Autonomie Locali come valore autentico di radicamento e responsabilità diffusa.
Tema, questo, attorno al quale le passioni politiche e le attenzioni della pubblica opinione si sono quasi totalmente spente. Ma che, invece, rimane centrale per una democrazia efficiente e per la prospettiva di un Paese a “trazione integrale”, nel quale anche le aree interne, i territori di montagna, le “periferie” possano perseguire la propria vocazione civile ed economica, contro ogni omologazione.
7. Una idea di società aperta, che aiuti i giovani a crescere liberi e non prigionieri della paura nella comunità plurale e globale, consapevoli che il valore della identità – comunque sempre in evoluzione – deve essere vissuto come ricchezza da offrire a chi è diverso (per colore della pelle, religione o convinzioni personali) e non come baluardo da difendere con odio e sospetto.
Ecco cosa traspare, secondo me, dal dibattito che si è riaperto sulla presenza dei cattolici italiani in politica.
Una strada lunga, in salita, contro corrente, tutt’altro che scontata e tutta da progettare. Se di questo si tratta, il tentativo merita impegno, passione, formazione di nuovi protagonisti, disponibilità a mettersi in gioco.
Diversamente, nella migliore delle ipotesi, è tempo perso.