In base al rapporto di collaborazione tra le due testate, Il Domani d’Italia e Orbisphera, pubblichiamo il testo integrale dell’intervista di Antonio Gaspari, al nostro direttore Lucio D’Ubaldo
Nel grande arcipelago di associazioni, gruppi, movimenti di formazione cristiana si sta discutendo di come tornare ad esprimere un programma ed una rappresentanza capaci di coniugare difesa della vita e diritto al lavoro, protezione della famiglia e assistenza sociale, immigrazione e integrazione, sviluppo integrale e sostenibilità ambientale.
Su questi temi Papa Francesco sta costruendo tutto il suo pontificato, come appare evidente nelle Encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti.
Per cercare di capire la qualità, la maturità e il contenuto dei progetti politici che si rifanno ai fondamenti della dottrina sociale cattolica, “Orbisphera” ha intervistato Lucio Alessio D’Ubaldo, già Senatore della Repubblica, Segretario generale dell’ANCI, Assessore al Personale del Comune di Roma, Presidente di Laziosanità e attuale Direttore de “Il Domani d’Italia” (www.ildomaniditalia.eu).
Se esistesse ancora la DC, nello scenario attuale e con i problemi economici e sanitari post Covid, che tipo di proposte politiche offrirebbe al Paese?
È un esercizio teorico che suggestiona e incuriosisce – me ne rendo conto – senza con ciò fornire, all’atto pratico, lo sbocco di una risposta appagante. Non illudiamoci che la bontà di un programma metta subito in condizione di operare politicamente con la forza necessaria. All’elenco delle cose da fare bisogna sempre anteporre un coagulo di diligenza e volizione, per non impantanarsi nell’acquitrino del velleitarismo.
Certo, un di più di attenzioni ci segnala l’attesa per la ripresa della nostra iniziativa pubblica. Esiste di nuovo uno spazio. Sentiamo di doverci muovere in direzione di un’alternativa che superi tanto il globalismo quanto il sovranismo, essendo evidenti le loro deformazioni pericolose.
In ogni caso, se volessimo attingere al passato per dimostrarci all’altezza di un maggiore discernimento rispetto al presente, dovremmo porre l’accento sul portato di sistematicità e organicità dell’azione democristiana. Ne dobbiamo tener conto, se puntiamo ad esistere, nell’attuale contesto di frammentazione e radicalismo.
I problemi, grandi e piccoli, richiedono sempre un filtro e dunque una mediazione, vale a dire la ricerca di un sano equilibrio tra ispirazione ideale e condotta pratica, fuori dal cono d’ombra dell’integralismo. La politica equilibrata mette insieme diversi fattori e li dispone su un piano di autenticità, secondo realismo: non sceglie, contro l’evidenza del dato complesso, la fuga nella semplificazione.
La DC incarnava l’attitudine alla complessità e questa appariva finanche la sua cifra di identificazione. Oggi, pertanto, una proposta evocativa dell’esperienza democristiana avrebbe necessità di definire quali convergenze democratiche promuovere in funzione di un grande riordino del quadro politico. Bisogna infatti allargare, nei limiti del possibile, l’area del consenso attorno a un’impresa che riguarda la ricostruzione del Paese.
L’attuale primo ministro Giuseppe Conte viene accusato da più parti di essere molto democristiano, soprattutto nel rapporto con l’Europa. Che ne pensa?
È il complimento più bello che si possa rivolgere al Presidente del Consiglio. L’europeismo è il grande lascito di un Novecento a impronta democratico cristiana, che suscita ammirazione, appunto, nel momento in cui ragioniamo sul recupero di una visione di tipo sovranazionale. Egli deve tenere alta questa bandiera, senza aver paura dell’accusa di subalternità ai “poteri forti” di Bruxelles.
Il discrimine sulle alleanze politiche implicherà, da oggi in avanti, la netta distinzione tra europeisti e anti-europeisti. Per questo Conte deve essere fermo e determinato: il suo compito è dire la verità sulla “grande bellezza” dell’Europa, specialmente ora che la UE si è mossa dando prova di concretezza e lungimiranza. Dire che l’Europa non c’è, ora non ha più senso, ammesso che prima l’avesse sul serio. Il problema della ricostruzione non riguarda l’Italia e pochi altri Paesi, ma l’Europa nel suo complesso. Riguarda in verità il mondo intero.
Gli elettori e gli eletti che si dicono cattolici sembrano divisi: da una parte quelli che si presentano con un programma sovranista, primatista, iper moralista, antieuropeo, fondamentalista, e dall’altra parte quelli che condividono totalmente il progetto sociale e pastorale di Papa Francesco. Cioè una Chiesa aperta che torna missionaria e rivoluzionaria, che accoglie, cura, aiuta e sostiene i poveri, i malati, gli emigranti, le vittime dell’ingiustizia economica e sociale. Inoltre con la Laudato si’ Papa Francesco ha promosso una rivoluzione culturale, economica e politica per realizzare il “Green new deal”. Una DC dei nostri tempi con quale parte dei cattolici si schiererebbe?
Malgrado un luogo comune assai diffuso, la DC non ha mai rappresentato, in senso stretto, l’unità dei cattolici. Don Luigi Sturzo aveva messo in guardia, più di un secolo fa, dal rischio di confusione nei rapporti tra politica e religione.
Alcide De Gasperi, dal canto suo, seppe indirizzare lo spirito unitario dei cattolici verso la ricerca di una sana collaborazione con le forze laiche. Moro ha poi interpretato questa istanza di unità come strumento per irrorare di linfa cristiana, se così possiamo esprimerci, un’area elettorale e politica di tipo liberal-democratico. Nel suo ultimo discorso ai Gruppi parlamentari, pochi giorni prima dell’agguato di via Fani, ne fece cenno chiaramente.
Con queste premesse, non dovremmo faticare a riconoscere nell’attuale magistero della Chiesa un invito costante a declinare in autonomia, come cattolici responsabili, il nostro coinvolgimento nella esperienza politica.
Dopo la Laudato si’ è sopraggiunta adesso un’altra Enciclica – Fratelli tutti – che c’interpella nel nostro impegno di cristiani nel mondo. Per fare cosa? Ecco, per fare almeno in parte, con umiltà e passione, un’opera di traduzione del messaggio rivoluzionario di questo pontificato.
Francesco ci ricorda che la rassegnazione non è la bandiera di un nostro umanesimo laico, ma impregnato di sensibilità cristiana. D’altronde, la storia della DC si rispecchia e si rigenera nel quadro di questa evangelizzazione che fa dell’amore per l’umanità – contro la cultura dello scarto e la primazia del denaro, i pregiudizi della xenofobia, le diseguaglianze sociali e le chiusure sovraniste – la chiave di volta del cambiamento necessario.
La Chiesa rinnova l’appello al valore della vita ed è un discorso, questo, che vale tanto per la persona umana quanto per il Creato, in alternativa a una deriva di decadenza e di morte. Come essere fedeli, pertanto, allo spirito di questa sollecitazione è un interrogativo che esige la valorizzazione della laicità in ambito politico, per non compromettere la Chiesa nelle scelte, precise e puntuali, legate alla battaglia democratica.
Insomma, è possibile immaginare il ritorno di un soggetto politico simile o che assomigli alla DC?
Martinazzoli al congresso della DC del 1989 fece un intervento memorabile. Fu l’ultimo congresso, come sappiamo, perché gli eventi successivi portarono nel giro di pochi anni alla dissoluzione del partito. In quella circostanza, di fronte a migliaia di delegati e invitati presenti al Palaeur, parlò non già del “futuro come ritorno” ma del “ritorno al futuro” dell’ideale democratico cristiano.
Questo futuro siamo noi; sì, noi con tutte le speranze e le fragilità di una compagine dispersa; noi portatori di una onesta ambizione, senza pretese di assolutismi, posta al servizio di una possibile riaggregazione democratica. Non scommetterei sulla imminente formazione di un nuovo partito: occorre dissipare le ombre di una brutta parodia – lo dicevo all’inizio – che pretenda di sfruttare ambiguamente una esperienza ormai trascorsa, di fatto irripetibile.
Sta di fatto che il centro – sempre nell’accezione degasperiana di un “centro che muove verso sinistra” e cioè verso politiche di evoluzione sociale in un quadro di alleanze coerenti – ha bisogno di un pensiero forte. Se oggi questo centro conta poco, fino ad apparire residuale e persino superfluo, è perché stenta ad affermarsi un progetto a tutto tondo.
La DC fu la risposta dei cattolici democratici in una determinata fase storica del Paese. Non dobbiamo replicare “sic et simpliciter” quella risposta, bensì recuperare lo spirito e la logica che ne informavano l’articolazione concettuale, nonché l’impianto operativo, per essere in grado ai giorni nostri di inventare un che di analogo e insieme di originale.
Può darsi che la risposta odierna consista nel rilancio di una formula assemblatrice, per tenere insieme e valorizzare i diversi apporti del riformismo democratico, oltre le attuali espressioni di partito; come pure richieda, viceversa, un deciso salto di qualità verso quella autonoma soggettività politica da più parti invocata (anche a prezzo, talvolta, di scivoloni nel macchiettistico).
I tempi comunque sono stretti e per questo, volenti o nolenti, dobbiamo prepararci.
Certamente, con il probabile ritorno al sistema elettorale proporzionale, l’autonomia di un centro che prenda spunto dalla cultura democratica e cristiana può reincarnare una “utopia concreta” affidata agli assertori di un autentico rinnovamento, per il quale occorre a priori la generosità e la freschezza d’intenti delle giovani generazioni.