Ceccanti chiede agibilità per i riformisti ma dentro un Pd autoreferenziale

Il costituzionalista dem invita a coniugare la critica alla segreteria Schlein con il rispetto della disciplina di partito. Nessun accenno alla questione delle alleanze: il partito a vocazione maggioritaria ne prescinde.

Di seguito riportiamo l’intervista concessa ieri all’Agenzia Italia (AGI) da Stefano Ceccanti. 

In sostanza, egli tiene fermo il punto: nessun ripiegamento aventiniano e nessuna tentazione scissionistica. La minoranza deve incalzare la segreteria rafforzando i punti qualificanti della politica riformista. In un partito contendibile è legittimo lavorare per l’alternativa. 

Il punto debole, però, è che non emerge un contributo innovativo rispetto all’analisi sulla crisi del Pd. In più, conservando l’impianto del cosiddetto partito a vocazione maggioritaria, 

Ceccanti evita il discorso sulle alleanze. In questo modo vince un approccio “programmistico” che alla lunga, per il suo stesso limite, inclina fatalmente verso la riedizione di un integralismo tutto politico.

La domanda di fondo sarebbe quella che molti si pongono, ovvero se è un dato secondario il declino di consensi che vede il Pd arrancare poco sopra o poco sotto – ma nelle elezioni politiche di settembre è valso il poco sotto –  la linea del 20 per cento. Dal 2008 ad oggi, più di un terzo dell’elettorato si è allontanato dal “partito unico del riformismo”.

Invece di approfondire le ragioni di questo crollo strutturale, i riformisti di Ceccanti si avvinghiano al dibattito sulle “tecniche di convivenza”. Troppo poco.  

 

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Intervista

 

Dare spazio e agibilità politica a chi non è convinto dalla posizione della segreteria del Partito democratico, senza per questo arrivare a ‘strappi’ traumatici o a forme ancora più diffuse di disimpegno, rifluendo solo verso la vita privata e professionale. Verso questa necessità muove l’iniziativa di tre esponenti dell’area riformista del Pd: Stefano Ceccanti, Enrico Morando e Giorgio Tonini. Insieme hanno firmato un appello che parte dalla tentazione aventiniana registrata dentro il Partito democratico nelle ore precedenti all’incontro di Elly Schlein con Giorgia Meloni sulle riforme. 

 

Una tentazione respinta dalla segreteria Pd, ma che ha allarmato l’ala riformista del partito. “Ci sono diversi temi su cui la posizione della segreteria non convince tutti. È legittimo”, spiega Ceccanti all’AGI: “Schlein ha vinto il congresso e ha diritto a portare avanti la propria proposta”. Tuttavia, aggiunge l’esponente dem, “durante il congresso è emersa una proposta politica e culturale che ha piena cittadinanza dentro il Pd e che, in modo aggiornato, deve vivere”. Questa proposta è quella rappresentata dalla ex mozione Bonaccini. “Il presidente Bonaccini ha giustamente altre priorità, tanto più oggi, glielo chiedono i cittadini che governa”, spiega Ceccanti riferendosi all’emergenza in Emilia-Romagna che vede il governatore e presidente del Pd in prima linea. E, tuttavia, “bisogna dare spazio a chi non condivide questa impostazione. C’è la richiesta di fare vivere un altro paradigma culturale e politico…Noi riteniamo che il Pd sia un partito contendibile. E che sia un bene che nel Pd vivano permanentemente proposte alternative a quelle della segreteria pro tempore”. 

Questo non significa che debbano arrivare ‘strappi’ nei passaggi parlamentari o, peggio, fuoriuscite. Al contrario, “si può anzi si deve votare in Parlamento in linea con le indicazioni della segreteria, salvaguardando la discussione interna. I partiti a vocazione maggioritaria sono fatti di disciplina nel voto, ma di libertà nelle espressioni interne. Anche Corbyn, nel Labour, veniva criticato dall’area che faceva riferimento a Keir Starmer, ma poi tutti votavano insieme in Parlamento”. 

 

Il Keir Starmer del Pd, mutatis mutandi, chi porrebbe essere?. “Non è una questione attuale, né di preservare correnti precedenti”, ribatte Ceccanti: “Oggi Bonaccini ha le sue esigenze, anche immediate. Ma un partito grande come ha osservato Arturo Parisi non pone i propri aderenti ed elettori tra un congresso e l’altro di fronte all’alternativa tra l’unanimismo o il nulla, vuoi come scissioni vuoi come abbandoni. Disciplina intorno a chi ha vinto e vitalità anche spregiudicata di dibattito devono andare insieme “, conclude Ceccanti.