Dopo il tramonto del populismo di matrice grillina, il “centro politico” si attesta attorno al 10% dell’elettorato italiano. Un dato che può crescere ulteriormente se subentrassero condizioni politiche favorevoli. Ad oggi un elettore su dieci si sente “di centro” e rispedisce al mittente il “bipolarismo selvaggio”.

In un affollato dibattito sulle “ragioni del centro” che si è svolto a Torino e a cui hanno partecipato esponenti di vari partiti, è emerso un in modo chiaro e netto un elemento suggerito attraverso l’analisi precisa e puntuale del sondaggista e politologo Lorenzo Pregliasco.

Due i punti centrali evidenziati da Pregliasco e che vedono concordi quasi tutti i sondaggisti e gli esperti del “mercato elettorale” sul centro.

Innanzitutto, e dopo il tramonto dell’illusione e della sub cultura populista di matrice grillina, il “centro politico” si attesta attorno al 10% dell’elettorato italiano. Un dato che può crescere ulteriormente se ci sono le condizioni politiche che possono favorire un incremento più significativo. Ma, ad oggi, comunque sia, un elettore su dieci si sente “di centro” e rispedisce al mittente il “bipolarismo selvaggio” che ormai da troppi anni caratterizza il sistema politico italiano. Un “centro”, come ovvio, nè statico e nè immobile ma, al contrario, innovativo e moderno capace di esprimere un progetto di governo e alimentato da una precisa “cultura politica”.

In secondo luogo un “centro politico” può realisticamente decollare in vista delle prossime elezioni politiche se, sempre secondo Pregliasco, riesce a riconoscersi in un leader credibile da un lato e ad esprimere, al contempo, una posizione politica ricca di contenuti e di scelte programmatiche nette e comprensibili. Un “centro”, cioè, che riesce ad interpretare quella domanda di buon governo e di competenza e preparazione che dopo anni di improvvisazione, di casualità e di “fantasia al potere” hanno squalificato la politica, fiaccato l’azione di governo, ridicolizzato le istituzioni democratiche ed indebolito la stessa qualità della democrazia italiana.

Due indicazioni, dunque, largamente condivisibili ed indispensabili se non si vuole ridurre il tutto ad una mera operazione nostalgica e geometrica o all’ennesimo tentativo testimoniale o dopolavoristico che abbiamo conosciuto a grappoli in questi ultimi lustri.

Ora, se è di tutta evidenza che l’unità delle forze di “centro” che non si riconoscono in questo “bipolarismo selvaggio” è un’operazione abbastanza facile da centrare perchè, come si suol dire, si farà “di necessità virtù” in vista delle prossime elezioni politiche, è altrettanto vero che non si potrà rinunciare a costruire anche una alleanza credibile che individui proprio nella forza di “centro” un protagonista decisivo. Soprattutto in una fase come questa. E non solo perché in Italia, per dirla con Martinazzoli, “la politica è sempre stata politica delle alleanze” ma anche per la ragione che sarà proprio la politica il discrimine decisivo per dare vita ad una alleanza politica credibile, seria e costruttiva. Nulla a che vedere, quindi, con alleanze/pallottoliere o con coalizioni unite solo e soltanto dall’odio nei confronti dei “nemici” da annientare e da combattere secondo una vulgata populista ed irresponsabile. Una concezione che, purtroppo, ha segnato la politica italiana con il risultato di ingrossare le fila dell’astensionismo allontanando sempre di più i cittadini dalla politica stessa.

Perché, in ultima analisi – com’emerso dal dibattito torinese e dalle stesse considerazioni del sondaggista Pregliasco – ci sono settori sociali, culturali e politici del nostro paese che chiedono adesso una nuova e diversa rappresentanza politica. Quella di “centro”, appunto. Toccherà a tutti coloro che si riconoscono in quest’area dare gambe organizzative e struttura politica e culturale a questa domanda. Che esiste e che non può più essere elusa o abbandonata. Pena diventare complici dei populisti nostrani – grillini e non solo – che puntano deliberatamente a rilanciare una nuova stagione anti politica, demagogica, qualunquista, giustizialista e manettara. Ovvero, l’esatta alternativa di un “centro” politico, democratico, riformista e liberale.