Il voto in Emilia Romagna va interpretato bene.
Ha vinto Bonaccini e Salvini ha perso.

Questo è un primo punto, di grande evidenza e valore. Evviva.
Gli elettori dell’Emilia Romagna hanno deciso di non piegarsi all’onda leghista fino al punto di buttare all’aria una tradizione riconosciuta di buon governo locale.
Hanno difeso la loro storia, anche al di là delle stesse appartenenze ideali e partitiche.
Si sono fatti “omologare” meno di altre realtà regionali (compresa quella dove vivo io).
Tanto di cappello.

Il voto, tuttavia, offre anche altre chiavi di lettura che sarebbe sbagliato disconoscere e che confermano processi sociali e culturali assai profondi.
La destra (inutile definirla diversamente) perde nella media regionale (anche per il naufragio elettorale dei 5 Stelle) ma vince nelle “aree interne”, nelle cosiddette “periferie”.
L’effetto “Sardine”, nelle realtà urbane, ha provocato un risveglio delle attenzioni e delle speranze. Nei territori non urbani, invece, pare che fasce popolari e ceti medi abbiano premiato la destra.

Non è un fatto strano.
Il voto alla destra ha un presupposto essenziale: la rottura dei rapporti di Comunità.
Il vero bipolarismo del nostro tempo non è tra destra e sinistra novecentesche (anche se la storia non è acqua fresca….) ma tra “personalismo comunitario” e “individualismo populista”.

Nelle aree urbane, la rottura dei rapporti comunitari viene compensata da molti fattori, in primis dalla concentrazione delle opportunità e dalla percezione di una maggiore ricaduta positiva della globalizzazione.
Nelle aree periferiche (delle città o delle aree intermedie o montane) si traduce invece in inquietudine, senso di abbandono, paura del futuro.

È qui che attecchisce di più il verbo della destra e dei suoi alleati, che proclama protezione contro la modernità e tutela contro i nemici, veri o immaginari, del mondo che fu.
La “sinistra” ed il “centro” (riprendo la simbologia del “trattino” riproposta recentemente con lucidità esemplare da Guido Bodrato) non possono pensare di evitare la sfida.
Vinceranno veramente solo se torneranno a interpretare anche il popolo delle periferie: quelle geografiche ma anche quelle sociali e culturali.
Teniamone conto, noi “popolari”.