Oggi s’involve nella metafora del vuoto. Appare come un movimento o meglio un sommovimento di natura extraparlamentare. Pertanto, sforzarsi d’inserire il centro nell’attuale intelaiatura della rappresentanza è un’impresa vana. Non esiste sul piano politico. Si estende e si contrae sulla scia di un moto elettorale che gli s’impone inesorabilmente. Truppe di occupazione provenienti da opposte schiere se ne contendono lo spazio con messaggi interessati, dando ai buoni propositi un mantello di camaleontismo e saltimbancheria. Si vince al centro, come si dice, ma non si concede autonomia, né si attribuisce effettiva dignità, alla posizione politica di centro. Dunque, nel linguaggio comune prevale il retropensiero di una censura che dai cieli della semantica plana velocemente sulle piste della prassi quotidiana. 

In effetti, la seconda repubblica muoveva dal presupposto che la polarizzazione della democrazia avrebbe innescato un guadagno di efficienza e mobilità grazie all’avvento dell’alternanza nei ruoli di potere. Dunque, nessuna rendita di posizione e più competizione virtuosa. Non è andata esattamente così, stando ai risutati: le coalizioni si sono fronteggiate senza più il vincolo della “conventio ad excludendum”, ma senza neppure riuscire, una volta conquistata la vittoria, a superare i limiti della loro originaria composizione. Quel che è transitato nella mentalità comune e nel modus operandi dei partiti andrebbe riletto come adeguamento post-moderno all’atavica e ricorrente opposizione tra guelfi e ghibellini. Da ciò non poteva che derivare un’altra “conventio ad excludendum”, quella che appunto ha riguardato il centro come vettore dell’ingegno ricompositivo della politica, nonché scenario di sempre nuovi equilibri democratici. 

La sensibilità cattolica ne ha risentito fortemente. Alle prese con lo spirito del maggioritario, non ha dato il meglio di sé nel vivere una sfida senza precedenti. La Dc è parsa un ingombro, la sua storia un fardello o semmai un catalogo di controstorie liberamente selezionate, a seconda delle convenienze, per aggettivare e modellare un dispositivo di pratica subalternità. Ci sono stati alcuni tentativi di muoversi in controtendenza, resistendo in via di principio a questa omologazione verso il basso – l’intramontabile basso della politica. La più nitida resistenza, messa in atto dai Popolari reinventati da Martinazzoli, andò incontro a un destino di lacerazioni e impoverimento, fino alla discussa abdicazione. Bisognava avere coraggio e tenere duro, anche in contrasto evidentemente con le parole d’ordine imposte dal pensiero comune.

Adesso urge una riflessione nuova. Nella società viene avanti questo bisogno di ricomposizione attorno a un’idea di politica ragionata, giustamente flessibile, in sintonia con le aspettative popolari, al netto però di cedimenti all’oltraggio del vaniloquio e dell’incompetenza. Curiosamente, la discussione attorno alla esistenza del centro rimanda al paradosso del gatto di Schrödinger, vivo e morto nel medesimo tempo. Il centro è vivo perché Biden, ad esempio, dimostra che si vince soltanto se la proposta politica rientra nel perimetro delle attese di un elettorato intermedio, popolato di soggetti non inclini alla radicalizzazione della politica; ma è morto, viceversa, perché il centro non assume nei fatti una propria concretezza, specifica e distinta, essendo piuttosto un’astrazione logica – ecco il punto – a sigillo di spostamenti e oscillazioni nella rigida cornice dell’alternativa tra destra e sinistra. 

L’astrazione tuttavia rimbalza e si trasforma nel diniego degli elettori che tendono a respingere, anzitutto con l’arma dell’astensionismo, la configurazione della lotta democratica secondo parametri di ostracismo, atti a nascondere limiti e incongruenze delle parti. Per questo diniego, ora più diffuso nella società, è lecito parlare dell’esistenza di un “centro extraparlamentare”. Ciò che opera nella società, latita nella sfera politica. Ecco allora la domanda: fino a quando il centro potrà rimanere tale, in questo stato cioè di alienazione e impotenza? È difficile stabilirlo. Tuttavia, non è lontano il tempo di un decisivo rimescolamento delle carte, visto che l’attuale crisi, in primis sanitaria e poi finanziaria, determina la consapevolezza di un travaglio che già ora appare foriero di grandi novità.