Articolo pubblicato sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Giovanni Zavatta

Un sistema di classificazione energetica simile a quelli utilizzati per gli elettrodomestici in modo da facilitare il monitoraggio delle tracce di carbonio presenti nei suoi quasi quarantamila edifici, con l’obiettivo di raggiungere “emissioni zero” di anidride carbonica al più tardi nel 2045: è una delle proposte che verranno lanciate dal sinodo generale della Church of England che si riunirà a Londra dal 10 al 13 febbraio. La relativa mozione, intitolata Climate emergency and carbon reduction target, invita soprattutto le parrocchie a servirsi di un nuovo strumento di valutazione che calcola il consumo di energia tenendo conto di una serie di fattori tra cui il tipo di energia usata, la tariffa scelta (“verde” oppure no), la dimensione dell’edificio e il suo utilizzo. La Chiesa d’Inghilterra possiede immobili in ogni stile e materiale architettonico, eredità di secoli di storia; ciò pone problemi non di facile soluzione quando si tratta di efficienza energetica. «Tuttavia le chiese — afferma il vescovo di Salisbury, Nicholas Holtam, responsabile delle questioni ambientali — non sono musei ma edifici viventi che servono le loro comunità tutti i giorni della settimana ed essere più verdi non significa fare di meno ma attrezzare le parrocchie in modo che diventino più intelligenti nel consumo di energia. Impostare l’obiettivo “net zero” nel 2045, cioè cinque anni prima di quello del governo, rappresenterebbe una significativa dichiarazione di intenti del sinodo generale, che richiederà innovazione, fede e dedizione da parte delle nostre chiese, scuole e comunità».

Ma come riuscire nell’impresa? La mozione fa alcuni esempi: l’uso di energia per il riscaldamento e l’illuminazione dovrebbero ridursi radicalmente in tutti gli edifici attraverso l’installazione di Led, dove non ancora presenti, e vasti programmi di impermeabilizzazione e isolamento; inoltre «il riscaldamento delle nostre 16000 chiese, 4700 scuole, di alloggi del clero e uffici diocesani dovrebbe passare da gas e petrolio all’elettricità verde e focalizzarsi di più sul riscaldamento delle persone anziché degli spazi» (ciò richiede che le forniture della chiesa vengano adeguate dalla rete nazionale all’aumento del carico elettrico). E ancora: si dovrebbe evitare di compiere viaggi e spostamenti con veicoli alimentati a benzina o diesel («anche nelle nostre diocesi rurali») e saper rinunciare all’aereo, quando possibile, sviluppando modi più sostenibili per rafforzare le relazioni con il resto del mondo. Al di là della produzione di carbonio, continua il testo, «dobbiamo proteggere e migliorare la biodiversità in tutti i nostri terreni ed edifici. La Chiesa deve costruire la consapevolezza ecologica in tutto ciò che facciamo. La cura della creazione è un elemento essenziale della nostra missione e del nostro ministero».

I cristiani, osserva Holtam, «sono chiamati a salvaguardare la creazione di Dio e a sostenere e rinnovare la vita sulla Terra. Di fronte alla realtà del catastrofico cambiamento climatico, che interesserà specialmente le persone più vulnerabili del mondo, un’azione rapida, radicale e immediata è la nostra unica opzione». Che è poi la linea indicata dall’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, primate della Comunione anglicana: «È sempre più chiaro che il cambiamento climatico rappresenta la sfida più grande che noi e le generazioni future dobbiamo affrontare. È nostro sacro dovere proteggere il mondo naturale che ci è stato dato così generosamente, così come i nostri vicini in tutto il mondo che saranno i primi a essere colpiti. Senza un’azione decisa e rapida, le conseguenze dei cambiamenti climatici saranno devastanti».

Per ottenere l’obiettivo “net zero” nel 2045 occorrerà raggiungere una riduzione del 30 per cento di emissioni di anidride carbonica entro il febbraio 2023, un segnale che indicherà che «siamo sulla buona strada». Non c’è tempo da perdere. Il recente rapporto dell’International Panel on Climate Change ha avvertito che l’umanità ha undici anni per intraprendere azioni di emergenza al fine di prevenire il riscaldamento globale superiore a 1,5 gradi. I rischi per l’uomo in termini di alluvioni, siccità, caldo estremo e povertà diventano sempre più grandi, incidendo su centinaia di milioni di persone. Parallelamente esiste un’emergenza biodiversità: il mondo sta vivendo una rapida estinzione di specie, causata da fattori tra cui, ma non solo, i cambiamenti climatici. Un recente rapporto delle Nazioni Unite ha evidenziato che circa un milione di specie animali e vegetali sono minacciate di estinzione. Questa perdita è il risultato diretto dell’attività umana e costituisce una minaccia diretta al benessere in tutte le regioni della Terra.

La mozione — che cita fra gli altri Papa Francesco e il patriarca ecumenico Bartolomeo fra coloro che più si stanno battendo per la salvaguardia del creato — riconosce che, forse, la Church of England non si è mossa con la rapidità che molti avrebbero voluto. Proprio per questo, adesso, agli slogan preferisce “riconoscere” (piuttosto che “dichiarare”) l’emergenza climatica e usarla come stimolo all’azione.

«Speriamo — conclude Mark Sheard, presidente del Consiglio per la missione e gli affari pubblici — di poter tornare al sinodo fra tre anni e riferire di intere piattaforme di attività e di progressi concreti verso lo “zero carbonio”. Per il clima del nostro mondo il breve termine è adesso, domani, forse il giorno dopo. Questo dibattito è stato convocato proprio per parlare di tale urgenza e per incoraggiare l’intera Chiesa a fare del 2020 un anno di azione per il clima».

E all’emergenza climatica è dedicato il volume Saying yes to life. The archbishop of Canterbury’s Lent book 2020, scritto da Ruth Valerio, rappresentante di «Tearfund», agenzia di soccorso e sviluppo cristiana britannica (di ispirazione evangelica) con sede a Teddington (Londra), impegnata in una cinquantina di paesi a sostegno di coloro che sono in condizioni di povertà o colpiti da calamità naturali. Valerio, particolarmente coinvolta, anche in ambito ecclesiale, nelle questioni ambientali, ha avuto il pieno sostegno della Church of England. In questo libro, acquistato da tutte le diocesi anglicane per incoraggiarne la diffusione, parte dai giorni della creazione (Genesi, 1) per poi esplorare cosa significa essere a immagine di Dio e affidati a prenderci cura di ciò che ha fatto; presenta voci provenienti da tutto il mondo, preghiere e spunti di discussione per aiutare a riflettere in ciascuno dei quaranta giorni della Quaresima. «Come persone di fede — ribadisce Welby nel volume — non possiamo limitarci a “dire” ciò in cui crediamo. Siamo obbligati a “vivere” la vita alla quale Cristo ci chiama, a prenderci cura dei nostri vicini, della creazione che Dio ci ha donato con così grande generosità».

La campagna quaresimale LiveLent 2020, lanciata dal primate anglicano il 4 febbraio, è la prima nella storia della Church of England a essere completamente dedicata ai cambiamenti climatici e alla salvaguardia ambientale. Invece di rinunciare ai dolci o agli alcolici, si legge in un comunicato, i fedeli sono invitati a seguire alcune riflessioni quotidiane, partendo da una serie di domande come «quanta acqua ci vuole per fare un paio di jeans?», «quando è stata l’ultima volta che ho guardato il cielo di notte?» o «qual è stata l’impronta di carbonio emessa dal pasto che ho appena mangiato?». Saranno coinvolte, con testi appositi, tutte le fasce di età. «Dobbiamo urgentemente ricostruire le relazioni con il nostro pianeta. Per fare questo abbiamo bisogno di cambiare le nostre abitudini, il modo in cui preghiamo e come agiamo», conclude Justin Welby.