Cinquant’anni dopo De Gaulle, un gigante della storia

Protagonista della Resistenza, fondò e guidò dal 1947 al 1955 il RPF (Rassemblement du peuple francais)

Il 4 aprile 2005, durante una trasmissione TV di ‘France2’, Charles de Gaulle era stato designato dai telespettatori come «il più grande francese di tutti i tempi», superando anche Louis Pasteur, l’Abbé PierreMarie CurieVictor Hugo

Nel novembre 2010, in occasione del 40º anniversario della sua scomparsa, da un sondaggio di TNS (Taylor Nelson Sofres) una delle più prestigiose aziende internazionali specializzata in ricerche di mercato e opinione, emerse che De Gaulle fu considerato  il  «personaggio  più importante della storia di Francia» per il 44% degli interpellati, davanti a Napoleone (14%), Carlo Magno(14%), Jean Jaurès (12%), Luigi XIV (7%).

A questo incipit retrospettivo si aggiunga che nel 1958, anno della fondazione della Quinta Repubblica di cui divenne poi il primo Presidente,  il generale fu nominato personaggio dell’anno dalla rivista americana Time, ultimo francese a ricevere questo riconoscimento.

A 50 anni dalla sua scomparsa basterebbero queste tre citazioni che di solito si mettono a piè di pagina, nei titoli di coda, per far anche solo intuire la grandezza del politico di formazione militare, uomo di profonda cultura, scrittore, mente dotata di una capacità intuitiva folgorante, di un’ironia raffinatissima che lo poneva di una spanna al di sopra dei suoi interlocutori, una delle più importanti e influenti personalità della Storia francese e mondiale del 900, incardinando in sé la grandeur che propugnò e cercò per il suo Paese.

Al punto che risulta imprescindibile passare attraverso la sua figura, il suo pensiero, le sue visioni e le sue scelte se si vuole comprendere quanto fu determinante l’azione di governo e soprattutto la Presidenza della V° Repubblica francese per il suo Paese, con una influenza diretta e personale che possiamo ritrovare almeno in termini carismatici in poche altre figure del secolo scorso, da Churchill a Kennedy a Gorbaciov, per citare nomi altrettanto rievocativi di sentimenti e passioni popolari, seppur diversi.

Dobbiamo soprattutto agli studi di Gaetano Quagliariello (“De Gaulle e il gollismo” ed. Il Mulino), studioso e politico italiano, gli approfondimenti storiografici più ampi, recenti, ricchi di citazioni ed aneddotica intorno alla persona del Generale De Gaulle: la sua lunga militanza nella politica francese ha lasciato il segno più di quanto altrove siano riusciti a fare gli statisti a lui contemporanei.

Protagonista della Resistenza, fondò e guidò dal 1947 al 1955 il RPF (Rassemblement du peuple francais) con lo scopo di combattere il regime “esclusivo” dei partiti, di opporsi all’avanzata del comunismo e di promuovere una riforma costituzionale che privilegiasse il potere esecutivo mentre in politica estera avversò iniziative come la creazione del Consiglio d’Europa, il piano Schumann, la CECA e il CED, in nome dell’indipendenza nazionale, fu ostile alla evoluzione delle relazioni transatlantiche preconizzando un’Europa confederata. Conclusa l’esperienza dell’RPF De Gaulle, forte di un ampio consenso popolare  per la sua figura carismatica (che della formazione militare aveva ereditato l’attitudine al comando) , nel 1958 fu capo del governo (durante il periodo della cd.”crisi algerina”) Presidente della Repubblica dal 8 gennaio 1959 al 28 aprile 1969. Fu dunque il primo presidente della quinta Repubblica francese e artefice della riforma costituzionale, caratterizzata da una svolta accentratrice e semi-presidenziale, fondatore del ‘gollismo’, un fenomeno politico tutto francese e ispirato al carisma del Generale che appare ancora oggi come uno degli ultimi grandi uomini capaci di fare la storia, lui che aveva saputo spesso muovere gli eventi invece di lasciarsi muovere da essi, protagonista indiscusso e riferimento ‘disallineato’ nella politica europea del Novecento. Accentratore, insofferente verso l’assemblearismo, amato e odiato,  secondo la critica di Roberto Colozza  “De Gaulle aveva annichilito il parlamento e neutralizzato il governo, investendo la figura del capo di Stato di un potere debordante”, e fu accusato da più parti di propugnare una deriva autoritaria ma ebbe in Fanfani e La Pira (ma anche in Pacciardi) i più convinti estimatori tra i politici italiani. Ma Charles de Gaulle è stato anche un precursore dell’uso delle metafore e degli aneddoti,  molti aspetti della sua personalità, la sua figura ieratica, la sua statura imponente avevano generato la simpatia dei francesi che amavano il suo vocabolario non convenzionale, le sue battute spiritose  – “Perché volete che a 67 anni io cominci una carriera di dittatore?” –  o il dono di aver sempre l’ultima parola. Celebre la risposta a un giornalista che durante una conferenza stampa gli chiedeva candidamente “Come state?”…..replicò “Non sto male, ma rassicuratevi: un giorno non mancherò di morire”.  Molto rievocata anche la freddura con cui zittì un suo collaboratore ai tempi dell’avvento della Quinta Repubblica che infervorato dall’impresa urlò : “E adesso, generale, a morte tutti i coglioni!” . Si narra che De Gaulle avesse replicato: “Caro amico il suo vasto programma mi sembra troppo ambizioso”.

Non nascose mai il suo disprezzo per i partiti politici di destra e di sinistra sentendo di incarnare una politica di centro (ma calibrata su se stesso) ispirata al cattolicesimo sociale, capace di guidare i processi di modernizzazione della Francia e dell’occidente europeo, attraverso una svolta moderata e centralista degli assetti dello Stato e della P.A.

Consapevole della complessità della gestione politica di un Paese avviato verso traguardi ambiziosi – rimase celebre la sua battuta “Come si può governare un Paese che ha una varietà di 246 tipi di formaggio?” – guardava al centro moderato nella politica interna, caricando su di sé il fardello di convivere con una congerie di uomini che considerava mediocri, nella speranza di farne a meno nei momenti topici e cruciali delle scelte e individuando presto in George Pompidou il delfino candidato alla successione (abilità che guardando dal dopoguerra ad oggi nelle segrete stanze del potere altri capi carismatici non hanno avuto, anche in casa nostra) elaborò a lungo un’idea precisa sulla politica estera, guardando – come detto- ad una Europa delle Nazioni, dove ciascun Paese mantenesse la propria identità fatta di cultura tramandata e sovranità politica. Una visione fortemente nazionalista e franco-centrica, ‘superiorista’.

Una concezione ben diversa sa quella che sta tentando di prender corpo nell’U.E. e che palesa tutte le sue intrinseche difficoltà rispetto ad una guida unitaria, coesa e capace di una visione condivisa nelle relazioni interne e internazionali.

De Gaulle e il gollismo hanno rappresentato in ogni caso una linea politica unica ed originale nel panorama politico europeo e transnazionale del 900.

Come più volte sottolineato il Generale esprimeva una forza carismatica e accentratrice capace di galvanizzare consensi e di costituire un riferimento rassicurante in termini di stabilità istituzionale, per innescare il volano della ripresa economico-finanziaria e costituire solide basi per una duratura riforma dello Stato: per questo il gollismo è sopravvissuto al suo fondatore come sintesi delle esigenze sopra richiamate e sponda politica e sociale per i processi di ‘cetomedizzazione’ del Paese.

Poi arrivò il vento destabilizzatore del ‘68 in Francia e in Europa e le sue folate finirono per travolgere e spingere nell’angolo anche il grande Presidente-Generale.

Ma per dimostrare che la ‘grandeur’ francese –  una sorta di condizione di grazia, uno status sempre invocato e conclamato da De Gaulle per indicare una missione da compiere e insieme un’investitura, una vocazione del presente ed un destino sancito dalla Storia – se non è incardinata in grandi uomini capaci di esprimerla diventa una boutade di cugini malpensanti e altezzosi,  non possiamo dimenticare una battuta al veleno che ci riguarda e che sembra aver fatto molti proseliti anche tra i suoi succedanei connazionali fino ai giorni nostri, in politica o nella società civile,  quando parlando di noi raggrinziscono le labbra per sospirare “Ah, les italiens….!”, guardandoci dall’alto in basso in senso dispregiativo.

“L’Italia – pare abbia detto un giorno di noi De Gaulle – non è un Paese povero ma un povero Paese” e questa – che allora era una battuta e oggi ha le sembianze di una profezia –  nonostante Brigitte Bardot, i formaggi e lo champagne, gliela possiamo perdonare?