Oscar Luigi Scalfaro intervenendo all’Assemblea Nazionale degli esterni della Democrazia
Cristiana nel lontano 1981, disse che nella Dc – ma non solo nella Dc – quando si parlava del ricambio della classe dirigente si doveva fare riferimento agli “esterni, agli interni e agli eterni”. Certo, lo statista piemontese aveva usato un linguaggio duro e sferzante a proposito del rinnovamento del gruppo dirigente di quel partito in quell’epoca storica. Anche se lo stesso Scalfaro fu, del tutto meritatamente, parlamentare dal 1946 sino alla sua elezione al Quirinale.

Cioè sempre. Ma, al di là del percorso politico di Scalfaro, è indubbio che quella riflessione usata quasi 40 fa conserva tuttora una bruciante attualità. E questo non solo perché il tema della classe dirigente e, soprattutto, della sua qualità restano al centro del dibattito politico e culturale nel nostro paese. Perché dalla qualità, dall’autorevolezza e dal prestigio della classe dirigente derivano anche la credibilità e la serietà della stessa politica.
Ora, se il ricambio dei gruppi dirigenti è certamente un fatto importante e da praticare senza finzioni e furbizie, è altrettanto vero che non possiamo continuare a sostenere pubblicamente e privatamente che l’attuale classe dirigente politica, tanto a livello nazionale quanto a livello locale, è infinitamente meno qualificata di quella della prima repubblica – dove addirittura non è possibile tracciare il benché minimo confronto – ma anche molto lontana dalla cosiddetta seconda repubblica.

E questo per un motivo molto semplice: la qualità e l’autorevolezza non vengono ratificati per decreto ma sono il frutto di un percorso di preparazione, di radicamento e di competenza che oggi, purtroppo, non trovano più cittadinanza. Certo, è addirittura imbarazzante il confronto fatto nei giorni scorsi dallo stesso Conte con lo storico leader socialista Bettino Craxi.

Imbarazzante per una molteplicità di motivi ma soprattutto per il profilo e la natura del leader politico e di governo Craxi e per quello che rappresenta oggi, concretamente, il Presidente del Consiglio.

Ma, per ritornare alla riflessione iniziale di Scalfaro, forse quel riferimento agli “esterni, interni ed esterni” oggi andrebbe leggermente corretto. E cioè, rispetto ad un tempo quando la classe dirigente politica, al di là e al di fuori di qualsiasi santificazione, era comunque l’espressione media della credibilità della politica, oggi la presenza dei cosiddetti “eterni” forse non solo è necessaria ma è addirittura indispensabile per la stessa conservazione della qualità della nostra democrazia e delle nostre istituzioni democratiche. Probabilmente sono proprio quegli “eterni”, in alcuni partiti, che riescono ancora, seppur tra molte difficoltà e contraddizioni, ad evitare il trionfo definitivo del pressapochismo, della superficialità, del populismo e della demagogia. E, in ultimo, grazie a quei pochi o tanti “eterni” sarà ancora possibile parlare di partiti, di democrazia, di competenza e di senso delle istituzioni.

Forse. L’alternativa è la consegna definitiva ed irreversibile al populismo e alla demagogia. Che, di norma, sono sinonimi di povertà culturale, politica, programmatica e forse anche etica.