In questo articolo Farinone guarda con preoccupazione e pessimismo alla situazione politica nazionale. “È tutto l’insieme delle iniziative, prese o immaginate e comunque fatte conoscere all’opinione pubblica (ovvero all’elettorato), delle dichiarazioni alternativamente polemiche o di circostanza che offrono l’idea di coalizioni assemblate in un qualche modo solo allo scopo di sconfiggere l’avversario e tenute in piedi unicamente da una legge elettorale che le impone col sistema dei collegi uninominali”. Allora, che fare? Sarebbe altamente preferibile – la politica esige uno sforzo di chiarezza – allearsi sulla base di precise intese programmatiche.

Non è più nemmeno necessario osservare in controluce le mosse dei partiti per comprendere quanto siano ormai slabbrati i rapporti all’interno delle supposte coalizioni politiche che dovrebbero affrontare fra meno di un anno le elezioni politiche. Come già scritto, la guerra in Ucraina ha posto in evidenza le differenze esistenti, davvero non minime. Fra Lega e Fratelli d’Italia, fra Partito democratico e Movimento 5 Stelle. Ma non si tratta solo della guerra. E nemmeno solo della postura filo-atlantica di alcuni e di quella (vagamente o meno vagamente…) attenta alle “ragioni” di Putin degli altri. 

È tutto l’insieme delle iniziative, prese o immaginate e comunque fatte conoscere all’opinione pubblica (ovvero all’elettorato), delle dichiarazioni alternativamente polemiche o di circostanza che offrono l’idea di coalizioni assemblate in un qualche modo solo allo scopo di sconfiggere l’avversario e tenute in piedi unicamente da una legge elettorale che le impone col sistema dei collegi uninominali. Per il resto è tutta una lotta all’interno delle coalizioni medesime: plasticamente evidente nel centrodestra; diversamente combattuta nel centrosinistra, fra due partiti che in realtà la coalizione non l’hanno ancora costruita e che solo ora, in qualche comune, stanno provando faticosamente a testare l’alleanza per l’ormai imminente turno amministrativo.

Il risultato è che gli italiani saranno chiamati a scegliere non sulla base di un vero sentire comune, di un vero programma di governo, di una condivisione politica sui temi prospettati dalla situazione internazionale. No, voteranno “contro”. Contro la coalizione avversaria. Potrà accadere però che l’elettore si vedrà costretto, dalla logica coalizionale, a votare magari per un candidato di un partito con idee opposte – e su temi non marginali – alle sue e pure a quelle del suo partito. Quell’elettore voterà in negativo, “contro”, appunto. Di fatto in qualche caso “contro” le sue stesse convinzioni. Ma, è questa la domanda, lo farà? O si rifugerà nell’astensione, fenomeno sempre più in crescita? E’ allora questo il modo migliore per avvicinare i cittadini ad una politica che avvertono sempre più lontana?

La questione è seria, perché proseguendo così si rischia di indebolire la democrazia, la fiducia in essa da parte degli italiani. Non è peraltro di facile soluzione, al di là della volontà (assai dubbia) dei partiti di cambiare la legge elettorale in vigore (cosa che fra l’altro non è essa pure propriamente entusiasmante visto che farlo ancora una volta alla vigilia delle elezioni non deporrebbe francamente a favore del sistema democratico in generale).

Da un lato perché il proporzionale se da una parte aiuta l’elettore nella scelta (per il partito a lui più vicino) dall’altra rinvia alle manovre parlamentari la costituzione di una maggioranza e del programma conseguente (anche se occorre ricordare che la nostra è una democrazia parlamentare e dunque la centralità del Parlamento ha una sua logica). Dall’altro perché il doppo turno alla francese (l’alternativa da molti invocata) sta dimostrando anche nella sua terra d’elezione una crescente difficoltà a portare gli elettori alle urne, senza contare che il vincitore in realtà ha una base elettorale minoritaria, alla resa dei conti.

E allora, che si fa? Difficile dirlo. Ma la cosa migliore sarebbe allearsi sulla base di precisi e chiari punti programmatici. A partire dalle questioni principali, più importanti. Per lo meno, si offrirebbe agli elettori una proposta seria. Non dettata dai numeri (fra l’altro ipotetici) dei sondaggi. Non sarebbe poca cosa. Magari gli italiani apprezzerebbero.