«Sia sempre garantito il rispetto della privacy e della dignità delle mamme che non hanno dato alla luce i loro figli». E’ quanto dichiara Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, in merito alla vicenda delle tombe dei feti con i nomi delle madri in un cimitero romano.

«L’aborto rappresenta un lutto sommerso. Lo confermano anche i racconti ascoltati in questi giorni. Un evento tragico e sottovalutato. Il mancato riconoscimento sociale di questo lutto lascia i genitori nella solitudine, complicando il processo di elaborazione del lutto» spiega Ramonda.

«Insieme alla dignità della madre va garantita anche quella del figlio non nato. – continua Ramonda – Anche loro hanno diritto ad una sepoltura cristiana, come si diceva una volta. Non essere considerati “rifiuti speciali ospedalieri” o ammassati in fosse comuni. È nostra cura fornire ai genitori tutte le informazioni necessarie, nel rispetto della privacy, per poter compiere questo atto che restituisce dignità e rispetto alle spoglie mortali di questi bimbi in qualsiasi età gestazionale siano morti».

La Comunità Papa Giovanni XXIII si occupa di sepoltura dei feti dall’aprile 1999, quando don Oreste Benzi celebrò il funerale di Matteo, figlio di una donna che perse il bimbo a 19 settimane di gestazione. Da allora l’associazione ha aiutato centinaia di genitori ad ottenere la degna sepoltura del loro figlio, per lo più in seguito ad aborto spontaneo.

La legge. Il DPR 285/90, che regolamenta la polizia mortuaria a livello nazionale, prevede che anche al di sotto delle venti settimane i parenti possano chiedere la sepoltura del proprio figlio, ma hanno solo 24 ore per farlo, oltre le quali ne perdono il diritto. La legge non è chiara sul cosa si debba fare in assenza di tale richiesta ma in genere i feti vengono gettati fra i rifiuti speciali dell’ospedale e inceneriti. Una circolare del ministero della salute ne raccomanda la sepoltura anche in assenza della richiesta dei genitori.