Articolo pubblicato sulle pagine di formiche.net a firma di Maria Scopece

Capopopolo grillino o democristiano, leader di piazza o uomo di palazzo? Non è facile etichettare Giuseppe Conte, il premier bis che è entrato da poco più di un anno in politica e sembra ci stia da una vita. “Non è facile perché lui è l’eccezione, e come tale vuole presentarsi” dice Calogero Mannino, siciliano e democristiano doc, cinque volte ministro e una vita trascorsa nella Balena bianca.

Mannino, che effetto le fa sapere che Conte andrà a commemorare Fiorentino Sullo ad Avellino?

Ci sono due ragioni della visita, una istituzionale e una di opportunità politica.

Partiamo dalla prima.

Di fronte a un personaggio come Fiorentino Sullo c’è un’obbligazione morale alla memoria. Ha fondato la sinistra Dc di Base, le ha dato forma assieme a Nicola PistelliLuigi Granelli e Giovanni Marcora. È stato il precursore del centrosinistra, è uscito dalla Dc con una rottura politica e umana drammatica che il suo discepolo De Mita ebbe il merito di ricomporre quando divenne segretario. La storia di Sullo appartiene alla storia del Paese.

E l’opportunità politica in cosa consiste?

Nella Dc Sullo è sempre stato l’eccezione, non la regola. Forse anche gli amici della Base avellinese ritengono di essere stati un’eccezione. Sarebbe curioso, visto che De Mita è stato segretario del partito per otto anni per poi farselo scappare dalle mani.

Conte che c’entra?

Ad Avellino Conte non va a celebrare una figura unificante della storia democristiana. Ricorda Sullo, non Moro, non Donat-Cattin, non Andreotti, non Rumor. Credo gli torni comodo. Anche lui in fondo si è presentato come un’eccezione e tale vorrà rimanere in futuro. Così nessuno potrà accusarlo di riprendere in mano le redini di una vecchia Dc, quella appunto di Fanfani, Moro, Andreotti.

Ma Conte si può dire un dc o no?

Sarei prudente a usare certi termini. L’esperienza della Dc è ormai tutta storicizzabile, non è un precedente da cui derivare esperienze attuali. Certo, l’iniziativa in memoria di Sullo ha un valore simbolico.

Quale?

È singolare che si ritrovino insieme Gianfranco Rotondi e Ciriaco De Mita. Quando la Dc si sciolse il primo scelse Silvio Berlusconi, il secondo la linea popolare e della Margherita. Due percorsi opposti che consumarono definitivamente il dramma democristiano.

Conte il federatore della vecchia Dc. Se lo immagina alla guida di un nuovo partito dei cattolici? È un tema di cui anche la Cei discute da tempo.

Conte non guarda alla Cei ma al Vaticano, con cui ha un filo diretto. La Cei ha abbandonato la Dc già nel 1992. Oggi un largo pezzo, quello dei post-dossettiani, è impegnato senza fortuna a costruire un nuovo spazio. Hanno sempre immaginato che l’unico rapporto possibile dei cattolici fosse con il Pd, con i cosiddetti “cattolici democratici”. Cioè l’ultima versione del cattocomunismo, che però era un fenomeno politico e culturale molto più serio.

Cos’è rimasto oggi della Dc?

La Dc non esiste più perché non ha più un ruolo. Si è fatta fuori una volta per tutte con la battaglia per la preferenza unica e il maggioritario nel 1994. La sinistra democristiana era convinta fosse uno strumento utile per allearsi con i comunisti e invece alla fine la spuntò Berlusconi. Con il maggioritario la sinistra non sarà mai sufficientemente maggioranza.

Oggi lo può diventare?

Ne dubito. In un’intervista al Corriere Goffredo Bettini ha avvertito Nicola Zingaretti. La sinistra italiana oggi non può diventare maggioranza.

Perché?

Zingaretti ha perso l’occasione di andare alle elezioni e ricollocare il partito sul versante del centrosinistra. Ora quel treno è passato e il Pd si ritrova al cospetto di Di Maio con il piattino in mano.

E i Cinque Stelle?

Non hanno abboccato all’amo perché hanno capito la linea Bettini-Zingaretti. È quella del vecchio Pci, che non voleva alleati ma partiti satelliti.

Conte riuscirà dove Zingaretti ha fallito?

Conte ha mostrato doti di grande accortezza politica e anche di spregiudicatezza. Vuole trasformare lentamente i Cinque Stelle in una formazione di centro ricollegando i fili del partito a chi ricopre oggi quell’area politica, cioè all’eredità della Dc. Se Di Maio si opporrà all’operazione Conte non rischierà comunque di compromettersi, perché lui già si trova al centro

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