Dunque, stando al sondaggio Demos pubblicato recentemente su “Repubblica”, l’ex premier Conte, il nuovo capo dei grillini – la votazione in rete, come ovvio e come sempre, è solo una pura formalità – riscontra un gradimento che tocca quasi il 90% nell’elettorato del Pd. Per l’esattezza, l’87%. Addirittura di più dell’attuale segretario del partito, Letta, che si ferma all’86%. Certo, si tratta di semplici numeri che vengono sfornati e non si sa mai se sono rispondenti al vero o se servono solo per giustificare e rafforzare la strategia politica della sinistra italiana.
Ma, al di là dei numeri e dei sondaggi che ormai escono a getto continuo, il dato politico vero che emerge – e su cui non ci sono dubbi alcuno al riguardo – è la sostanziale continuità di vedute, di strategia, di approccio e di prospettiva che ormai accomunano i due partiti: e cioè, il Pd delle molte correnti e il partito di Grillo e di Conte. Due partiti che, come dicevano all’unisono Zingaretti e il suo stratega Bettini già alcuni mesi fa, possono tranquillamente siglare una “alleanza organica, strategica e storica”. Due partiti accomunati, pertanto, da una sostanziale somiglianza politica, culturale, valoriale e programmatica. E sin qui nulla di strano visto che l’ex premier Conte era stato addirittura definito dal Pd come il “punto di riferimento politico più autorevole per i progressisti italiani”.
L’unico elemento su cui è lecito, tra i tanti per la verità, farsi una domanda è un altro. E cioè, anche il populismo è un elemento che accomuna la prospettiva politica e storica di questi due partiti? Perchè, se non vogliamo essere ipocriti o ingenui, solo un marziano può condividere e avallare la tesi che il partito di Grillo, ora guidato pro tempore da Conte, abbia gettato alle ortiche e definitivamente tutto l’armamentario che lo ha contraddistinto sin dal suo esordio. Solo un ingenuo, cioè, può pensare che i 5 Stelle improvvisamente e misteriosamente non siano più un partito anti politico, anti casta, anti sistema, anti parlamentare, giustizialista, demagogico, qualunquista, senza alcun riferimento culturale, e con una classe dirigente improvvisata e casuale, figlia dell’ormai celebre “uno vale uno”. Ovvero, che il partito di Grillo e di Conte non è più statutariamente un partito populista. Per dirla in altri termini, non vorrete mica farci credere che è sufficiente abolire per statuto gli insulti, l’attacco personale, la demonizzazione delle persone e dei partiti, la criminalizzazione politica degli avversari e dei nemici praticati in modo sistematico e permanente in questi lunghi quindici anni per arrivare alla conclusione che si tratta di un partito riformista, democratico, liberale, moderato?
Ecco, se il gradimento di Conte nella base del Pd è così alto; se l’intesa politica e di governo tra il Pd e i 5 Stelle è coerentemente così solida e se i valori che accomunano i due partiti sono così sistematici e lineari, non c’è più da stupirsi se anche l’identità del Pd con il tempo si è progressivamente ed irreversibilmente trasformata. Come diceva l’altro ieri un autorevole commentatore, si avvicina il tempo per una potenziale confluenza politica ed elettorale degli uni con gli altri. Ormai il populismo – quello più accentuato di Grillo o quello più “dolce” di Conte – è diventato il cemento ideologico unificante delle due formazioni politiche. A volte, nella politica, il tempo cambia le coordinate dei partiti. In questa occasione, la mutazione politica profonda ha coinvolto organicamente il partito riformista per eccellenza, il Pd, e quello populista per eccellenza, i 5 Stelle. Così va il mondo. E così va la politica, in Italia.