A quanto pare, il “caminetto” del M5S (strano ambito decisionale per un Movimento che si è affermato col mantra della democrazia diretta a trecentosessanta gradi) ha ratificato la disponibilità di Giuseppe Conte ad avere un ruolo di primo piano nel percorso di rigenerazione del partito di Beppe Grillo.
La cosa non mi sorprende affatto.

Dovrebbe sorprendere invece quanti, anche in ambienti a noi vicini, avevano immaginato – con sconsiderata spudoratezza – di incoronarlo nell’improbabile ruolo di “nuovo Degasperi”.
“Populisti ma nel centro sinistra” sembra abbia sentenziato Conte, mentre accettava di “rifondare” il M5S su spinta del comico bardato da astronauta.

Un centro sinistra siffatto non sarebbe più la mia casa, questo è certo.
Stupisce che il PD prosegua imperterrito su questa deriva.

E preoccupa che la politica italiana si acconci così ad archiviare la stagione di Draghi (che essa ha subito e accettato con grande faccia tosta, senza nessuna autocritica e nessuna riflessione sulle fragilità del sistema) riproponendo lo scenario di una competizione tra populismo di sinistra e populismo (pur apparentemente attenuato) di destra.
Dove sta l’innovazione politica che servirebbe per aprire una nuova stagione di rappresentanza e di crescita di un Paese allo sbando?

Archiviata di fatto (temo) la riforma elettorale in senso proporzionale (sbandierata come ragionevole scelta di equilibrio dopo la dissennata riduzione dei parlamentari e come strumento di rigenerazione del sistema della rappresentanza) pare che il destino sia quello del “già visto”: aggregazioni pensate solo per provare a vincere (aspirazione peraltro piuttosto temeraria da parte di una siffatta sinistra) ma totalmente inadatte per governare.
Se così fosse, Draghi sarà veramente solo una parentesi, una foglia di fico momentanea, buona per generare un surplus di credibilità europea ai fini dei soldi del Recovery Fund, ma non capace, nonostante il suo personale prestigio, di imprimere al Paese una svolta di maturità e di serietà di lungo periodo.

In un quadro di questo genere, esiste un dovere civile e politico di chi non è d’accordo (e sono in realtà più di quanti si ritenga). Occorrerebbe costruire subito una proposta alternativa e nuova.
Ma, purtroppo, le possibili forze di una area di questo tipo sono, in parte, prigioniere delle sigle attuali e, in parte, frammentate e balcanizzate in una miriade di soggetti a carattere più che altro personale. Molte anche apprezzabili, ma da sole incapaci di determinare un “fatto politico” sufficientemente forte e autorevole da poter sperare di essere punto di riferimento di una larga parte degli elettori.

Lo stesso nostro mondo popolare non è immune, purtroppo, da questo cancro, come abbiamo cercato di dire in questi mesi.
E ciò conferma che il problema italiano sta nell’offerta, prima che nella domanda politica.
Urge qualche generoso tentativo, fin che siamo ancora in tempo. Altrimenti il destino è segnato.