Ora si attendono le dimissioni di Giuseppe Conte. Non ci sono passaggi intermedi, dialoghi ancora possibili in virtù di aggiustamenti esteriori, con qualche pacca sulle spalle ai contendenti, infine pregati di soprassedere alle idiosincrasie reciproche. Renzi chiede la testa di Conte e non si vede all’orizzonte una volontà di difesa totale, dal Pd ai Cinque Stelle, anche a rischio di elezioni anticipate.

È sorprendente la blanda reazione all’accusa che il leader di Italia Viva rivolge al Presidente del Consiglio sulla maniera di pensare e dirigere la cosa pubblica. Renzi, in effetti, fa una denuncia molto dura. In queste settimane la democrazia avrebbe corso seri pericoli a causa di manovre e operazioni (cabina di regia per il Recovery Plan e Fondazione per la sicurezza nazionale) miranti a fare di Palazzo Chigi un centro di potere sovraordinato, fuori perciò dagli equilibri fissati dalla Costituzione.

Se Renzi ha torto, dovrebbe essere il Pd a contrastare in modo netto tali affermazioni, fino al punto di rendere evidente la necessita di un chiarimento, se necessario anche attraverso il ritorno alle urne. Rino Formica, un vecchio della politica in grado come pochi di leggere la politica, ha parlato di Conte come di un nuovo Tambroni. Il Pd non ha battuto ciglio, né accenna, nel pieno della crisi, a fare di questo rilievo eccezionale il punto di discrimine della verifica tra i partiti.

Tutto scivola nel bailamme delle furbizie, costringendo il Quirinale a prendere posizione sulla inammissibilità di scorribande parlamentari per salvare con truppe alla Scilipoti un precario equilibrio di governo. Sul punto Conte e Bettini hanno dovuto correggere il tiro riconoscendo la necessità di una verifica tra alleati, non a scavalco, tortuosamente, di uno di essi. Mattarella assolve a un compito pedagogico essenziale – un richiamo cioè all’abc della lotta democratica – che mette in mostra tutta la fragilità dell’attuale classe dirigente. Sembra di assistere a un epilogo triste e deludente di tante ambizioni politiche.

Dunque, le dimissioni sono un atto di correttezza e responsabilità, che ormai, allo stato degli atti, Conte non può rinviare oltre la giornata odierna. È vero, se si dimette rischia di non rimettere più piede a Palazzo Chigi. Ciò non giustifica però un ennesimo giro di valzer, con poco decoro per le istituzioni. Una partita si è chiusa, in via definitiva, per colpa di un vaneggiamento di potere intollerabile, cui un’opinione pubblica frastornata ha dovuto assistere nel bel mezzo di una grave emergenza sanitaria ed economica. Dopo le dimissioni, ci vorrà tempo per riordinare le fila e per capire come andare avanti in questa legislatura. Non sarà una crisi lampo.