Articolo pubblicato sulle pagine della rivista “Atlante” della Treccani a firmadi Mattia Diletti

La Convention democratica si è svolta la settimana scorsa, quella repubblicana si è appena conclusa con lo speech di accettazione del presidente Trump (si è tenuto nel giardino della Casa Bianca, fatto piuttosto irrituale: non si usa la residenza presidenziale come luogo per i comizi di partito, di solito). La fine delle Convention segna il vero inizio della campagna elettorale presidenziale. Quali considerazioni si possono svolgere, ora che stiamo entrando davvero nel vivo? Un’anticipazione: c’è da preoccuparsi per il tasso di conflittualità raggiunto dalla democrazia americana.

Il presidente, questa notte, ha detto tutto quello che ci si aspettava che dicesse: ha continuato a insistere sullo slogan del “Law and Order” ‒ i conflitti in strada che vedete sono quello che vi aspetterebbe se Biden vincesse ‒ e a dipingersi come l’unico baluardo che separa l’America dal caos e dal socialismo. Fa impressione osservare, va sottolineato, come questo messaggio così aggressivo e questa delegittimazione dell’avversario avvengano negli stessi giorni in cui per strada si osserva il dispiegarsi di una guerra civile in miniatura, quella a cui abbiamo assistito nelle strade di Kenosha, dove ‒ a seguito del ferimento di Jacob Blake, colpito dalla polizia alla schiena con sette colpi di pistola che lo hanno paralizzato ‒ milizie bianche armate hanno affrontato i manifestanti che hanno sfidato il coprifuoco imposto in città. Un diciasettenne, Kyle Rittenhouse, è accusato dell’omicidio di due manifestanti: un giovane sostenitore di Trump che ha deciso di affiancare la polizia nel mantenimento dell’ordine nella notte degli scontri. La conflittualità verbale della politica è a livelli altissimi, ma lo è anche quella nelle strade. Con forme ben più preoccupanti.

La campagna elettorale sarà l’apoteosi del processo di polarizzazione del sistema politico americano. Cosa è la polarizzazione? Il contrario di quanto sostenuto per una vita da tanti esperti e studiosi dei sistemi politici maggioritari, come quello americano. Ovvero che quei sistemi fossero una garanzia per lo sviluppo di una “democrazia mite”, nella quale si vince al centro, con repubblicani e democratici a contendersi moderati e indecisi. Al contrario, oggi, la delegittimazione assoluta dell’avversario e la galvanizzazione del proprio campo ‒ in un sistema che non si dà come obiettivo una larga partecipazione elettorale: il 40% degli elettori americani (ben oltre i 100 milioni di individui) diserta il voto presidenziale, per disinteresse e sfiducia, ma anche per via di ostacoli materiali posti dal sistema stesso ‒ sono la chiave del successo. Corollario istituzionale della polarizzazione politica del sistema? In un sistema di poteri divisi, la paralisi e la conflittualità legislativa, il conflitto fra istituzioni quando presidenza e Congresso sono controllati da partiti diversi. Altri, e non sono pochi, pongono questo conflitto in chiave storica: l’ultimo in ordine di tempo, in questo articolo, è William Galston, un veterano democratico ora di base alla Brookings Institution. Una battaglia agganciata alle fratture createsi a partire dal Sessantotto americano, al quale Trump si ispira riproponendo il messaggio “Law and Order” di Richard Nixon.

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