Coronavirus, precipitano le rimesse africane

L’impatto della crisi economica sui migranti

Articolo pubblicato il 28 Aprile sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Giulio Albanese

Le misure di contenimento del coronavirus a livello mondiale e la contrazione economica che ne è derivata stanno avendo forti ripercussioni sui migranti africani regolari e irregolari. Infatti, si sta verificando una forte riduzione delle rimesse che vengono inviate periodicamente nei paesi di origine a causa della crescente disoccupazione e precarietà lavorativa, della mancanza di protezione sociale e del difficile accesso ai servizi di “money transfer”.

Secondo una recente previsione della Banca Mondiale (Bm), i flussi di rimessa dei migranti dei paesi dell’Africa subsahariana saranno nel 2020 di 37 miliardi di dollari, registrando una contrazione del 23,1 per cento a seguito della crisi economica scatenata dal covid-19. Secondo la stessa fonte, potrebbe esservi una ripresa dei trasferimenti di denaro nel 2021, stimata attorno al 4 per cento, portando il totale delle rimesse a 38 miliardi di dollari. E dire che in un rapporto pubblicato lo scorso anno dalla Bm sulle migrazioni e lo sviluppo, emergeva come il volume delle rimesse inviate nel 2018 verso i paesi dell’Africa subsahariana fosse cresciuto raggiungendo la cifra record di 48 miliardi di dollari.

La situazione oggi è particolarmente preoccupante per gli immigrati africani presenti attualmente negli Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Cina. Infatti, le rimesse provenienti da questi quattro paesi industrializzati rappresentano circa un quarto di tutti i fondi trasferiti in Africa. Con il termine rimesse, com’è noto, si intendono quelle somme di denaro che i lavoratori emigrati inviano verso la propria terra d’origine e rappresentano una fonte essenziale di reddito per i paesi in via di sviluppo, in particolare per quelli africani. Purtroppo la crisi economica prodotta dalla pandemia ha generato il calo più drastico degli ultimi trent’anni. Per fare un raffronto, a seguito della grave crisi economico-finanziaria dei mutui subprime nel 2008, l’ammontare delle rimesse, a livello globale, subì allora una contrazione del 5 per cento. Le rimesse — è bene rammentarlo — contribuiscono in modo significativo a garantire il sostentamento di cui necessitano le famiglie rimaste in Africa — in particolare la sanità e l’istruzione — e si rivelano anche un mezzo per garantire l’avvio di attività imprenditoriali in agricoltura o in altri settori produttivi. A questo proposito occorre sottolineare che il settore informale è di fatto la prima fonte di lavoro in Africa, rappresentando circa il 75 per cento dell’occupazione non agricola e oltre il 70 dell’occupazione totale nell’Africa subsahariana. Più del 90 per cento dei nuovi posti di lavoro creati in alcuni paesi africani sono nell’economia informale.

Questo in sostanza significa che poiché molta gente non ha accesso a un impiego fisso ma sopravvive sbarcando il lunario come può, molti nuclei familiari riescono a far fronte alle spese correnti grazie alle rimesse inviate dai parenti che sono andati a lavorare all’estero. Sempre secondo la Bm, le rimesse sono diventate la principale fonte di entrate in valuta estera per l’Africa subsahariana e hanno un impatto significativo sul pil di molti paesi. Uno di quelli che nel 2019 ha beneficiato maggiormente delle rimesse dei propri connazionali all’estero è stato l’Egitto: 26,8 miliardi di dollari (l’8,9 per cento del pil, in crescita rispetto all’anno precedente). Conta molto sulle rimesse anche la Nigeria: 23,8 miliardi di dollari nel 2019. Sempre lo scorso anno il Sud Sudan è stato il paese africano in cui le rimesse hanno rappresentato la quota più alta del pil: 34,4 per cento, seguito dal Lesotho con il 21,3 e dal Gambia con il 15,5 per cento. Considerando, poi, che nel continente africano si registrano sovente crisi politiche e conflitti armati, durante i periodi di crisi questi soldi rappresentano l’unica ancora di salvezza per le famiglie e le comunità riceventi.

Emblematico è il caso della Somalia dove il coronavirus sta avendo un effetto devastante sull’economia nazionale. Proprio in questi giorni il ministro delle finanze somalo Abdirahman Duale Beyle ha fatto sapere che i flussi di rimesse dirette al suo paese si stanno esaurendo perché molti somali residenti all’estero hanno perso il lavoro a causa del virus. Per questo motivo le entrate del governo di Mogadiscio si sono ridotte del 40 per cento non essendo l’esecutivo in grado di riscuotere le tasse dai contribuenti che solitamente ricevevano aiuti dalle varie diaspore somale disseminate nel mondo. Da rilevare che circa un miliardo e mezzo di dollari arrivava ogni anno in Somalia sotto forma di rimesse, una quantità di denaro significativamente superiore agli aiuti esteri. In questi anni di guerra civile in Somalia, molte famiglie hanno attinto a questo gettito di denaro per la loro sopravvivenza. Peraltro si tratta di un fenomeno che non riguarda solo la Somalia e neanche esclusivamente l’Africa. Se il livello degli Aiuti pubblici allo Sviluppo (Aps) è ormai fermo da diversi anni, un aiuto più consistente alle economie dei paesi poveri arriva proprio, attraverso il canale delle rimesse, dagli immigrati residenti nelle nazioni dove sono approdati. Oggi queste costituiscono una delle entrate economiche più importanti per questi contesti, superando in modo rilevante i flussi degli Aps e degli investimenti diretti esteri. Basti pensare che nel 2018, oltre 200 milioni di lavoratori migranti nel mondo hanno inviato 689 miliardi di dollari ai loro rispettivi paesi d’origine, di questi 529 miliardi di dollari sono stati inviati verso paesi in via di sviluppo. La cifra è oltre tre volte l’importo degli Aps a livello internazionale. Comunque, inviare il denaro in Africa continua a essere molto dispendioso. Basti pensare che nel primo trimestre di quest’anno, tra conversioni e commissioni, per trasferire in Nigeria 200 dollari dall’Europa, il costo complessivo corrispondeva all’8,9 per cento della somma trasferita.

Sebbene le percentuali varino a secondo dei paesi dove risiedono i beneficiari, rimane il fatto che molte volte i pagamenti sono in denaro contante. A ciò si aggiunga il fatto che i dati ufficiali sono comunque parziali perché le rimesse in uscita non transitano necessariamente attraverso gli intermediari ufficiali (operatori money transfer, banche, poste) ma defluiscono spesso tramite canali informali, non rilevabili e quindi non inclusi nelle statistiche ufficiali. Ufficialmente, la media globale delle operazioni per trasferire le rimesse è comunque il sette per cento dell’importo inviato. L’obiettivo di sviluppo sostenibile “10.c” mira a ridurre i costi di transazione a meno del 3 per cento entro il 2030. C’è da augurarsi che le moderne tecnologie, in particolare quelle mobili e la digitalizzazione possano rendere le procedure meno esose, unitamente a un contesto normativo più trasparente e favorevole. Una cosa è certa: è più che evidente, nonostante la crisi economica determinata dal coronavirus, la necessità di rendere questo indotto una vera opportunità di sviluppo per i paesi beneficiari africani.