Il differenziale che si riscontra tra versamenti da parte dell’Italia, a titolo di risorse proprie, al bilancio europeo per l’anno 2019 (16,8 miliardi di euro, -1,4 miliardi rispetto al 2018) e risorse assegnate all’Italia (11,2 miliardi, in aumento di circa 1 miliardo, +10,3%, rispetto al 2018), ancorché in diminuzione rispetto al dato del 2018, conferma che il livello totale dei flussi verso l’UE nel 2019 è uno dei più alti degli ultimi sette anni.

L’Italia rappresenta il quarto Paese per ammontare di risorse accreditate dall’UE, dopo Polonia, Francia e Germania (nel 2018 era il quinto Paese). La dinamica degli accrediti dipende, oltre che dalla preassegnazione dei fondi a ciascun Paese, anche dalla capacità progettuale e gestionale degli operatori nazionali, nonché dalla fase di attuazione del ciclo di programmazione.

E’ quanto emerge dalla “Relazione annuale sui rapporti finanziari tra l’Italia e l’Unione europea”, relativa al 2019, ma con attenzione per gli eventi più recenti, approvata dalla Sezione di controllo per gli Affari Comunitari e Internazionali della Corte dei conti, con delibera n. 1/2021.

La stessa posizione è rivestita dall’Italia quale “contributore netto” dopo Germania, Regno Unito e Francia, sia nel 2019 che nel medio periodo. In una logica di medio periodo, rappresentata dal settennio 2013-2019, il saldo netto cumulato è negativo per un ammontare di 36,38 miliardi. In tale periodo l’Italia ha, pertanto, contribuito alle finanze dell’Europa con un saldo medio annuo di 5,2 miliardi.

Tuttavia, aggiunge la Corte, non è possibile ignorare gli effetti dirompenti dell’emergenza da Covid-19 sul quadro economico europeo e l’ingente sostegno finanziario promesso dall’Unione per favorire la ripresa e mitigare l’impatto sociale della pandemia. I nuovi strumenti adottati dall’Unione sotto l’impulso della crisi sanitaria ed economica, nonché il nuovo bilancio pluriennale 2021-2027, di recentissima approvazione, invertiranno con ogni probabilità, anche sul piano finanziario, la tradizionale posizione di contributore netto dell’Italia, che sarà destinataria dal 2021 al 2026 della maggior parte dei fondi del Recovery plan e riceverà una quota importante delle risorse dei Fondi di investimento e strutturali europei (SIE).

Per quanto attiene all’utilizzazione dei fondi europei si conferma che, a causa della differente capacità di spesa tra le regioni più sviluppate e quelle meno sviluppate, si riscontra l’aumento del divario di sviluppo tra le prime e le seconde. Quanto alle “chiusure” della programmazione 2007-2013, la Corte rileva che alla data del 30 giugno 2020 risultavano perfezionate le procedure di chiusura con contestuale pagamento del saldo finale per 46 Programmi operativi su 58, di cui 20 cofinanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), 19 cofinanziati dal fondo sociale europeo (FSE) e i 6 Programmi operativi dell’Obiettivo Cooperazione Territoriale europea con Autorità di gestione assegnata all’Italia.

L’analisi del livello di spesa dei Fondi UE (Programmazione 2014-20), raggiunto al 31 ottobre 2020, indica che gli impegni si attestano al 31 ottobre al 68,32% (34,6 md) sul piano nazionale (alcune regioni avevano già raggiunto il 100% nel 2019), mentre i pagamenti raggiungono il 38,36% (19,4 md). Si sottolinea che la regola “N+3” permette di continuare a procedere nei pagamenti nell’ulteriore triennio, ma, nell’ambito delle risorse impegnate al 31 dicembre 2020.

Determinante sarà quindi la capacità di utilizzare in pieno la possibilità recata dal primo pilastro del Next Generation EU (NGEU) che riguarda le politiche di coesione con l’iniziativa REACT-UE, che consente di riprogrammare i Fondi SIE con il recupero delle risorse (2014-2020) “non utilizzate”, per meglio dire non impegnate.

Con riferimento alle politiche di sviluppo nel campo dell’agricoltura, la magistratura contabile segnala che nel 2019, il 28% dei finanziamenti per la PAC ha contribuito agli obiettivi climatici e la quota della spesa climatica è in aumento anche in altri settori del bilancio, ma che si conferma la storica incapacità o insufficienza attuativa delle strutture nazionali e/o regionali per assorbimento tra quanto stanziato e quanto versato al Paese dal bilancio UE. Negativo l’uso dei fondi destinati a pesca e acquacoltura, che ha riscontrato criticità in tutte le fasi.

Passando ad analizzare irregolarità e frodi a danno del bilancio UE, la Sezione del controllo conferma, per il 2019, il trend positivo rilevato nell’esercizio finanziario precedente. Si è registrato, infatti, un ulteriore decremento complessivo delle irregolarità, con un totale di segnalazioni OLAF che passa da 779 a 588 casi. In termini numerici, si evidenzia la netta prevalenza delle segnalazioni sui Fondi agricoli (487), rispetto a quelle relative ai Fondi strutturali (101).

Per quel che riguarda l’attività svolta dalle Autorità di gestione, per il 2019 restano complessivamente da recuperare 16.503.670 euro di spesa irregolare sui Fondi strutturali e 35.271.265 euro di spesa irregolare sulla Politica agricola, mentre, per il primo semestre di comunicazione 2020, gli importi ancora da recuperare risultano rispettivamente di 24.579.386 euro per i Fondi strutturali e 30.789.080 euro per la Politica agricola.

Permangono ancora svariate criticità nell’efficacia delle azioni di recupero e, fra le aree permanentemente significative in termini di irregolarità e frodi, si segnala anche quest’anno il settore degli appalti, con prevalenza dei fenomeni di violazione della normativa.