Cosa ci racconta l’astensionismo?

Nei numeri raddoppiati di gente che non è andata votare c’e la foto di un Paese in stanca di democrazia diretta. Non vogliamo più i partiti? Allora un ragionamento libero e franco sulla rappresentanza e sull’articolo 49 della Costituzione dovremmo avviarlo.

Mentre il risultato delle urne non è stato una novità, semmai restava solo da conoscere di che misura era la distanza tra il vincitore e lo sconfitto, i numeri della crescita dell’astensione sono invece più problematici. Intanto c’è da notare che sono raddoppiati rispetto all’ultima consultazione elettorale, ovvero in quattro mesi scarsi gli elettori di queste due Regioni hanno preferito occuparsi d’altro, piuttosto che delle loro, politiche regionali e degli assetti politici. Non si tratta più di una tendenza, di un segnale dato alla politica, ma di una scelta chiara e netta di come si decide di esercitare il proprio diritto al voto; a mente di una notissima sentenza della Corte Costituzionale, anche l’astensione è diritto al voto, ovvero a non esercitarlo. Piuttosto che interrogarsi, legittimamente, sulla eventualità che questo dissenso sia dovuto ad una offerta politica inadeguata, conviene provare a comprendere come è fatta la popolazione residente di queste due Regioni.

Lombardia e Lazio hanno un buon numero di giovani tra i 18/35 anni residenti (solo i 18 enni al voto raggiungono i 30 mila in ciascuna regione) che sono disoccupati o in cerca di prima occupazione, o occupati con contratti a brevissimo termine, o fanno parte dei cosiddetti neet. Vuol dire che gli elettori del futuro in questo momento storico non accedono alle prestazioni minime di sicurezza sanitaria e di welfare, nonché di istruzione e formazione, trasporto e vivibilità, che sono i temi di lavoro delle competenze regionali. Per loro non cambia molto, o almeno hanno la sensazione che, se governi una compagine politica piuttosto che un’altra, la loro condizione non muti nella sostanza: stanno ai margini e in quei margini costruiscono il loro futuro. 

Di questo ragionamento tutto politico e sociale noi non ce ne facciamo carico nel dibattito  pubblico, vuoi per il dolore mai sopito di vedere per loro un futuro più difficile di quello che ci saremmo immaginato, vuoi per una naturale predisposizione a pensare che la politica sia una sorta di fatina dalla bacchetta magica che aggiusterà le cose prima o poi (o le cose si aggiusteranno da sole), e che il passato presente che viviamo, il nostro modello di vita non è in discussione. Ma così non è e non sarà; in quei numeri raddoppiati di gente che non è andata votare c’e la foto di un Paese in stanca di democrazia diretta, un sussurrato “basta votare, lasciateci in pace”, che è il vero terribile terrore della democrazia stessa. 

Ma una ragione della indifferenza alla politica e alle soluzioni dei problemi pratici che essa potrebbe portare, è proprio nella incapacità di ascolto delle generazioni più giovani e delle loro esigenze. Va anche detto che oltre al non ascolto c’è anche il non detto, il silenzio di fondo delle nuove generazioni che non comunicano/interagiscono con la società reale, se non episodicamente, preferendo altri luoghi/non luoghi di comunicazione dove la politica è bandita (ovvero è presente solo nei giochi di ruolo sulla violenza del potere). 

Di fondo però, si deve anche ammettere che il futuro da loro immaginato, e in parte in corso di costruzione,  potrebbe per paradosso proprio non ricomprendere quella dimensione politica di partecipazione diretta alle scelte che viene esercitata con il voto e demandata alla rappresenta dei partiti politici. Allora non servirebbe angustiarsi più di tanto sull’offerta politica, perché è il modello di partecipazione diretta alla vita del Paese che è divenuto desueto. Questo è il nostro “horror vacui” generazionale che ci fa aggrappare a qualunque soluzione purché sia il mantenimento del modello costruito, va detto, con la generosità e il sangue di tanti che nello scorso secolo si sono spesi per la democrazia partecipativa diretta per tutti. Da noi la democrazia è giovane, lo è ancora a ben vedere, e a nostro demerito va ascritto di non averla condivisa abbastanza con quelli che ci avrebbero seguito nel tempo. 

L’astensione uguale a diritto non esercitato pone pure il problema che il modello di democrazia cresce e si adatta con il Paese che lo ha espresso. Se 2/3 dei potenziali votanti stanno a guardare quel che altri fanno o peggio ancora voltano la faccia e ad altro si dedicano, non possono esserci misure coercitive di nessun tipo che li convincano ad esprimere il voto (nei Paesi europei dove il voto è obbligatorio le schede bianche sono molte, come dire ho il timbro sulla scheda ma non ti voto). Forse non vogliamo più i partiti e allora un ragionamento libero e franco sulla rappresentanza e sull’articolo 49 della Costituzione dovremmo avviarlo, magari per poi scoprire strada facendo che ci piace ancora. Ma non lo status quo nel quale siamo caduti, quasi attoniti per la paura della deriva sovranista che vede quasi sempre il singolo al potere e l’oligarchia che lo ha eletto/proclamato che lo controlla,66 e controlla direttamente ogni ambito della società e del singolo. Prima che l’immaginario futuro di Orwell diventi una strisciante realtà, per l’inerzia di quelli al bancone che guardano il mondo scorrere e di quelli che guardano quelli che stanno al balcone.

Post scriptum

L’angolo del sorriso 

Questa volta non possiamo dire che gli italiani sono andati al mare invece che andare alle urne. Fa freddo e il mare d’inverno non ha a tutti piace.  Poi quando fissi la data delle votazioni devi sempre guardare il calendario! È un Paese di santi, e se la metti attaccata alla festa di San Valentino, devi pure ricordare che questo è un Paese di eroi e di poeti, e quindi siamo stati tutti impegnati nei negozi alla ricerca del regalo perfetto per il/la nostro/a amato/a, che non va mai deluso/a, che è pure l’eroe/l’eroina del nostro cuore. Santi, poeti e amanti, la verità è che noi italiani siamo tutti innamorati, da sempre prima della politica viene l’amor.