La prima manifestazione della peste, in tempi non troppo antichi, viene fatta risalire al 542 d.C. a Bisanzio, mentre, avvicinandosi ai giorni nostri, a Venezia giunse nel 1348 dalla Dalmazia.

La peste del 1348 si sviluppa nel 1346 nel nord della Cina e, attraverso la Siria, arriva nel 1347 in Sicilia e da lì a Genova.

Ovviamente,anche all’epoca, il fenomeno cambiò completamente i rapporti sociali ed economici, bloccando quasi completamente le relazioni tra le persone, anche tra i parenti più stretti.

Il Maggior Consiglio di Venezia decise di fronteggiare l’emergenza nominando tre esperti, per difendere la salute dei veneziani. Come prima cosa, fecero spostare i cadaveri dalla città su due isole abbandonate.

Successivamente, il Maggior Consiglio avviò una serie di misure per rilanciare l’economia, con sgravi fiscali per i commercianti, intimando i pubblici ufficiali a riprendere servizio regolarmente, incoraggiò l’immigrazione, ripristinò le processioni e le feste, prima abolite, per il rischio di contagio.

Subito dopo, nel 1400, nasce a Venezia il Lazzaretto: la quarantena oltre la quale la malattia si può dire debellata.

Ma per prima fu la Repubblica di Lucca che dispose per i medici, come avveniva in Francia, l’uso di un vestone cerato completo di cappuccio ed occhiali.

Fu questo stesso germe patogeno il responsabile delle ricorrenti epidemie scoppiate in Europa, con vari gradi di intensità e mortalità fino al XVIII secolo.

Anche quella che colpì Viterbo nel 1524.

In quel caso, come si può dedurre dall’allegato all’articolo, il Comune di Viterbo prese posizioni molto forti per contrastare la malattia.

Uno dei primi provvedimenti fu quello di chiudere la città e di chiedere ai cittadini di rimanere un mese all’interno delle proprie abitazioni.

Si chiusero tutte le osterie e si nominò un medico psichico e un cirusico per le necessità dei malati.

Tutte misure che, ahimè, non riuscirono a fermare la peste.

E che resero queste epidemie vivide memorie nel ricordo collettivo; non è un caso, infatti, che l’opera più estesa sulla peste sia italiana.

Fu scritta da Frari con il titolo “Della peste e della pubblica amministrazione sanitaria, Venezia, 1840”; in essa vengono anche citate le pesti più memorabili, fino al 1770.

Anche Muratori ne scrisse e Albert Camus ne La peste (1947), ambientato ad Orano, ci mostra una città spettrale.

Ma fu il Dott. Rieux, in un suo libro, a rilevare come, cessata la peste, i cittadini tornassero al sonno dell’incoscienza, ammonendo: “Il bacillo della peste non scompare mai”.

Fatti dell’anno 1524 a Viterbo dalla Storia di C. Pinzi