Cos’è l’utopia

In questo scritto assai provocatorio Frisch prende avvio dalla condizione delle città svizzere, in una nazione «che continua a ricoprirsi di edifici industriali e insediamenti, come se avessimo a disposizione sufficiente spazio per cavarcela senza pianificazione»

Articolo già apparso sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Roberto Righetto

«Volevamo braccia, sono arrivati uomini»: è di Max Frisch (1911-1991) la famosa citazione riguardante gli emigrati italiani, considerati dagli svizzeri nient’altro che forza lavoro. Ora dello scrittore elvetico esce da Meltemi un libretto curioso, Attenzione: la Svizzera (pagine 166, euro 10), un testo sull’architettura del 1955. Con Dürrenmatt e Bichsel coscienza critica del paese negli ultimi decenni, Frisch insiste molto sul valore dell’arte e della letteratura che non possono mai essere disgiunte dall’utopia, sulla scia di Walter Benjamin. Ma cos’è l’utopia per Frisch? Ecco come la definisce: «Il dolore per ciò che è come è, l’invito a protestare nei suoi confronti, implica il desiderio che il mondo possa essere diverso, un paradiso». Una condizione laica che lo scrittore ritiene «non affatto così distante da un credo religioso».

In questo scritto assai provocatorio Frisch prende avvio dalla condizione delle città svizzere, in una nazione «che continua a ricoprirsi di edifici industriali e insediamenti, come se avessimo a disposizione sufficiente spazio per cavarcela senza pianificazione». E per le vecchie città l’unica strategia possibile pare quella del rattoppo, idea che ricorda quella del rammendo di Renzo Piano, che egli giudica però insufficiente. Come uscire dallo stallo? Ecco la proposta spiazzante: costruire una nuova città. Un luogo a misura d’uomo, dove l’ambiente è tutelato, i costi energetici molto bassi e i trasporti leggeri, con il transito delle auto assai limitato. Frisch entra anche nel dettaglio del progetto, giungendo a indicare possibili zone in cui realizzarlo: il Seeland, nel triangolo fra i laghi di Bienne, Morat e Neuchâtel, o la valle del Rodano oppure il canton Friburgo o ancora il Mittelland argoviese.

L’idea di Frisch, che allora fu accolta con scetticismo e non approdò mai alla realizzazione, rappresentava in realtà uno spunto per una critica severa e circostanziata del modo di vivere svizzero. L’incapacità di progettare il futuro, la pratica dell’attività politica concepita come pura amministrazione, l’immagine esterna del cittadino come nuovo ricco del tutto autoreferenziale: ecco contraddistinti i suoi connazionali. E scrive: “Non vogliamo la Svizzera come museo, come stazione climatica europea, come casa di riposo per anziani, come custode dei valichi, come cassaforte, come punto d’incontro dei bottegai e dei delatori, come idillio. Vogliamo invece che la Svizzera sia una nazione piccola ma attiva che appartiene al mondo”.

Frisch pensava alla proposta di nuova città per scuotere l’anima del suo paese, che giudicava Heimat senza cuore, immobile e senza senso dell’utopia. Così, quando scrive pensa all’Esposizione nazionale prevista nel 1964, indicando come modello quella del 1939, in cui la Svizzera aveva fatto mostra di sé nel periodo più buio dell’Europa, quello delle dittature. Nel 1922 il fascismo si era affermato in Italia, nel 1933 il nazismo in Germania, nel 1936 il franchismo in Spagna e nel 1938 il nazismo in Austria.

Di fronte al dilagare dei regimi totalitari, la Svizzera si era posta come baluardo della democrazia, della convivenza e del plurilinguismo, rifiutandosi di accodarsi alla tendenza autoritaria dei paesi che la circondavano. Allo stesso modo, richiamandosi anche alla costituzione del 1848 che aveva dato vita alla Svizzera moderna, Frisch voleva spronare la sua nazione a superare la logica del compromesso e di pura gestione dei risultati economici raggiunti per aprirsi al mondo. Come scrive Mattia Mantovani nella postfazione, la storia descritta da Frisch in questo libretto è un fallimento o un’utopia ancora valida? Comunque la si voglia pensare, l’apporto illuminante della sua riflessione rimane intatto.