Crisi della famiglia e declino della figura paterna

Possiamo ancora chiamare famiglia quel nucleo di persone che si ritrova a cena  la sera

Articolo già pubblicato sulla rivista “Diritto Penale e Uomo – DPU”

Possiamo ancora chiamare famiglia quel nucleo di persone che si ritrova a cena  la sera, solitamente senza parlarsi, per poi appartarsi ciascuno per conto proprio a smanettare lo smartphone, consultare internet, giocare con la play station, leggere la Gazzetta dello sport o portare il cane a fare pipì? Un tempo i figli sapevano cosa chiedere e aspettarsi distintamente dal padre e dalla madre, c’erano regole di convivenza, il regime domestico imponeva diritti e doveri più certi. Riprendendo il siparietto del dopo cena consideriamo gli adolescenti che escono di casa salutando furtivamente per dirigersi verso luoghi imprecisati: “esco con gli amici”, “vado a fare un giro”, “mi fermo a dormire dal tale”. 

Laconica e rassegnata la risposta dei genitori ”mi raccomando…!” Ma dove vanno i nostri ragazzi, chi frequentano, come trascorrono il tempo fuori casa, cosa bevono, fumano, assumono sostanze? 

Solitamente se accade qualcosa di negativo lo si viene a sapere per vie traverse, tempo dopo: in famiglia non ci si parla più, il papà e la mamma sono riferimenti indistinti, in genere ci si accoda a chi dei due è più concessivo. Sempre ammesso che ci siano entrambi.

Ci sono nuclei familiari che si compongono e si scompongono con una mutevolezza che fissa fotogrammi diversi: “vivo con mia madre, il suo nuovo compagno e mia sorella. Il sabato e la domenica vengono i figli del compagno di mamma, tocca a lui, è il suo turno”. 

“Di solito sto con papà che però, avendo due figli del precedente matrimonio, va a trovarli quando la loro madre passa il w.e. con il fidanzato dal quale aspetta un bambino”.

“I nonni vorrebbero incontrarci ma la mamma è contraria perché dice che ficcano il naso nelle nostre faccende, allora loro hanno fatto ricorso al tribunale per vederci almeno una volta al mese”. 

Sono situazioni che si riscontrano con una frequenza crescente. Quale stabilità emotiva possono ricavarne i minori? Come possono avere buoni risultati a scuola? Perché spesso sono inadempienti e perdono interi anni scolastici? Perché – quando escono di sera stanno fuori fino alle 4 del mattino ed esprimono la mimica facciale e i tic di chi sniffa? Perché nei bagni della scuola si fotografano e poi si mettono in rete? 

Da una ricerca della Bicocca risulta che il 23% dei ragazzi usa il cellulare in classe, durante le lezioni. 

Perché compiono atti di bullismo, gesti estremi, giochi azzardati, insultano e offendono gli insegnanti, navigano in rete senza controlli fino a perdersi in quel buco nero del web da cui ritornano spesso malconci e rovinati?

Quanto ai genitori ci sono coppie che si uniscono e si separano con una rapidità sconcertante, altre che mettono al mondo figli senza consapevolezza dei propri doveri, che riversano sulla scuola una valanga di rivendicazioni rispetto ad adempimenti che competerebbero a loro ma che non sono in grado di portare a termine.

La vita in generale, quella domestica ‘intramoenia’ in particolare, assomiglia ad una sorta di casting mediatico, ci sono dissolvenze incrociate, controfigure di se stessi, pietose menzogne, giochi di simulazione e dissimulazione: sospesi a due spanne da terra si perde il contatto con la realtà, si passa con una disinvoltura sconcertante dalla minimizzazione di tutto all’iperbole dei superlativi assoluti.

Oltre alle difficoltà oggettive: economiche, di lavoro, il  “non farcela più”.

Ci sono anche famiglie che si dicono felici ma, ricordando il celebre incipit di Lev Tolstoj in Anna Karenina – “Tutte le famiglie felici sono simili tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo” – sovviene il dubbio guardandosi attorno che si tratti di una diceria che copre molte bugie, poiché l’infelicità è una malcelata sensazione dai mille volti, imperscrutabili.

Il vero focus della vita sono gli affetti, questo lo si scopre quando è troppo tardi, perché siamo tendenzialmente evasivi, cerchiamo “altrove” la realizzazione del bisogno di comunicare, salvo cadere in siderali e inesplorabili solitudini.

Oggettivamente, impietosamente stiamo assistendo ad una lenta e progressiva disgregazione del nucleo familiare tradizionale. Fermo restando che l’obiettivo principale da perseguire per tutti coloro che istituzionalmente se ne occupano deve essere il mantenimento dell’unità della famiglia, con il supporto della mediazione e interventi di sostegno e assistenza sociale, non la sua dissoluzione, cresce il numero dei bambini e degli adolescenti collocati in comunità o presso famiglie affidatarie, previo rigoroso e necessario accertamento del loro preminente interesse, al netto di vicende vergognose di mercimonio dei minori che stanno emergendo e che descrivono squallide distorsioni della realtà e lavaggio dei cervelli. Si allarga e diversifica, esprimendo competenze articolate e complesse, il welfare sulle nuove generazioni.  Un tempo i figli vivevano in casa fino al servizio militare o al matrimonio: era una prassi, un passaggio di consegne. Adesso stanno a casa per indolenza, molti non terminano gli studi, altri rifiutano lavori che giudicano pesanti: come sostiene Pupi Avati …’Li abbiamo nutriti di “risultati” senza costringerli al faticoso e doveroso percorso che avrebbero dovuto fare per ottenerli’. Il Rapporto ISTAT 2019 certifica che il 56,7 % dei giovani tra i 20 e i 34 anni vive in casa di almeno un genitore.

E’ la cd. generazione dei ragazzi “NEET”( Not engaged in Education, Employment or Training): non studiano, non lavorano non cercano un’occupazione. Ma non sempre per colpa loro.

Nelle famiglie dove le relazioni primarie non funzionano bambini e ragazzi hanno un rapporto rapsodico, regolamentato, calendarizzato con i loro genitori in crisi di rapporto, siano essi inadempienti per carenze affettive o conflittuali nel rapporto di coppia che si va sgretolando. Li vedono, li incontrano per poco tempo, a volte in spazio neutro, in modo osservato, sotto tutela. Dalla autoregolamentazione consapevole dei rapporti affettivi si passa a poco a poco alla loro eterodirezione, non di rado sotto la guida dei servizi sociali. 

Si creano buchi neri, vuoti sentimentali, nostalgie che si dissolvono nel limbo sociale, svuotate di valori e riempite di rinunce, giustificazioni o rinvii.

In particolare si assiste ad un lento declino del ruolo genitoriale del padre: nei casi di conflitti di coppia di solito è lui la parte perdente rispetto alla gestione dei figli. Espunto dal nucleo, cacciato di casa anche se ne paga il mutuo, obbligato a versare una quota di mantenimento che a volte supera le effettive possibilità, capro espiatorio dei conflitti di coppia pur se tradito.

Si nota una decadenza del ruolo paterno secondo tre profili di considerazione: sotto l’aspetto della presenza fisica, se rapportato a quello della madre spesso individuata come collocataria dei figli anche in regime di affido condiviso, inoltre un’assenza simbolica intesa come “ruolo naturale, biologico” privato di uno status domestico e sociale e infine un’assenza del principio normativo di autorità ed autorevolezza, a volte per non apparire autoritario, altre per demerito (sniffa, beve, si droga, spende i risparmi alle slot, cerca altre donne, è violento, si sottrae ai sui doveri genitoriali) altre ancora per un pregiudizio radicato nella società. Ci sono anche situazioni dove le donne vivono la sindrome dell’ape regina: l’uomo è un “fuco” pro-tempore, da distruggere dopo la nascita di un figlio che diventa possesso esclusivo della madre. 

A volte il padre paga il fio di uno stigma sociale non vero, poiché vi sono invece padri responsabili che ingiustamente espiano colpe che non hanno.

Poi c’è il rovescio di questa medaglia, il fenomeno sociale spaventoso del femminicidio, anch’esso originato da una distorsione della figura maschile, nella quale prevalgono i tratti della violenza e della sopraffazione, del possesso del corpo e dell’anima della donna, fino alla sua distruzione fisica. 

Cresce anche il numero dei minoricidi: un tempo esisteva il reato di “infanticidio per cause d’onore”.

Ora che l’onore va scarseggiando prevalgono droga e alcol come fattori scatenanti.

Il maggior numero di queste distorsioni degli archetipi dell’uomo, del compagno e del padre nasce ed esplode tra le mura domestiche.

Assistiamo ad una escalation delle violenze sulle donne, dalla più tenera età fino a quella adulta: di  pseudo-amore che diventa egoismo e sopraffazione, attraversando tutti i target sociali, infatti si tratta di una violenza di genere a prescindere dallo status di appartenenza, una caienna sociale infame ormai quotidiana.

Urge una decisa ribellione del mondo femminile contro gli abusi e le violenze di ogni genere: denunciare, interrompere un rapporto che diventa sopruso e possesso, avere il coraggio di chiudere subito e di lasciare, senza cadere nei tranelli del pentitismo ingannatore. 

Servono pene certe e severe, sentenze esemplari, un femminicidio non può ammettere sconti di pena.

Ma prima bisogna ripartire dalla buona educazione sentimentale, a casa e a scuola.

Il mondo è cambiato anche sotto il profilo dei rapporti di coppia, degli amori fugaci e ingannatori: un segno dei tempi quanto mai brutale che richiede l’assunzione di una diffusa coscienza collettiva.