CRISTIANESIMO, LA STRADA PER IL RINNOVAMENTO DELL’OCCIDENTE.

La capacità del cristianesimo di edificare civiltà non è esaurita e non si riduce a magniloquente universal-umanismo. Le società occidentali devono riformarsi profondamente, non solo per reggere il confronto con le potenze autocratiche, ma soprattutto per essere sé stesse.

Vittorio Possenti

La questione dell’umanesimo rimane in modo permanente al centro della storia contemporanea, come lo è stata per il Concilio che ne ha rilanciato il problema, ricordando il compito del cristiano nella città dell’uomo. All’inizio del suo pontificato Giovanni Paolo ii osservava: «La verità che dobbiamo all’uomo è innanzi tutto una verità sull’uomo». Esplicito era l’invito ai credenti ad essere presenti nella controversia sull’humanum e sul divinum. Decenni dopo, il convegno della Chiesa italiana a Firenze riprendeva il tema: «In Gesù Cristo il nuovo umanesimo» (2015). Era ormai chiaro che la crisi dell’umanesimo cristiano entro l’Occidente secolarizzato si era accentuata, per cui rimaneva ineludibile la domanda su come ridargli vita. Il nuovo umanesimo in Cristo altro non è che è l’umanesimo dell’Incarnazione del Verbo, procedente dal Verbum caro.

In questa visione si riassume il significato di Umanesimo integrale (1936), al cui centro sta l’evento dell’Incarnazione del Verbo, e il suo valore nella storia universale. Da ciò prende origine ciò che Maritain chiama sì umanesimo, «ma umanesimo teocentrico, umanesimo integrale, umanesimo dell’Incarnazione», ossia cristocentrico, in cui il divino e l’umano si danno la mano. Con ciò si introducevano il rapporto religione-cultura, l’idea di cristianesimo come promotore delle civiltà ed il compito dei credenti nella città. Il rapporto fra cristianesimo e culture veniva impostato come necessario, ma non in forma univoca. Il primo, ponendosi come trascendente e perciò “altro” rispetto alle civiltà, ha interrotto quel nesso rigido fra una religione e una cultura che sembra sussistere in altri ambiti religiosi. L’alterità e la trascendenza del cristianesimo sono garanzia della sua efficacia benefica: la religione cristiana «trascende ogni cultura e ogni civiltà. È la suprema benefattrice delle civiltà e delle culture e, d’altra parte, è indipendente in sé stessa da queste: libera, universale, strettamente universale, cattolica».

Il Concilio Vaticano II ha fatto propria questa prospettiva: «In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo» (Gaudium et Spes, n. 22). Il brano continua: «con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato». Il nesso cristologia-antropologia viene ormai affermato come il criterio ermeneutico per l’antropologia cristiana. L’uomo fa riferimento a Cristo e si comprende a partire da lui, non viceversa: non è Adamo che spiega Cristo, ma Cristo che spiega Adamo. La teologia della politica nell’evo cristiano mantiene la trascendenza e l’immanenza del cristianesimo: non perde il suo significato soterico, divino, né la capacità di ispirare liberazione, giustizia, rispetto e amore nella vita sociale e politica, contrastando la distruzione della verità antropologica da parte delle varie forme del secolarismo. La capacità del cristianesimo di edificare civiltà non è esaurita, e non si riduce a magniloquente universal-umanismo, sempre a rischio del suo contrario.

Tutto ciò si riflette sulla Chiesa, che non è in primo luogo una comunità di argomentazione, ma un popolo, una comunione di fede, di prassi, di preghiera, di unione nella vita buona; una comunità di discorso-racconto di quanto accadde (memoria storica) e di quanto attendiamo (atteggiamento prolettico rivolto al futuro ed alle cose ultime). Anche la Chiesa è un “popolo”, il popolo di Dio, ed un “corpo”. Non un corpo politico come lo Stato o la società politica, ma il corpo mistico di Cristo, centrato sull’eucaristia. Quest’ultima è la continuazione dell’Incarnazione, è “liturgia pubblica” che crea e nutre: essa ricuce una comunità che le vicende politiche tendono a lacerare.

La perdurante importanza di Umanesimo integrale sta anche nell’aprire la porta alla filosofia cristiana della storia, di cui Maritain fissò le fondamentali direttrici. Proprio quando al culmine dello storicismo questa disciplina stava per essere dichiarata morta e sepolta, nell’ambito della filosofia dell’essere e del tomismo sorgeva su antica radice e con speciale attenzione alla modernità una concezione della storia che rappresenta tuttora una possibilità aperta. Facendo posto all’azione umana indirizzata da un umanesimo integrale, la filosofia della storia elaborata da Maritain accoglie l’idea dello sviluppo, e intende completare l’opus philosophicum con tale disciplina. Ne abbiamo particolare bisogno in quanto i sistemi di filosofia della storia ereditati dal XIX secolo risultano inservibili e superati. Forse solo la visione di Comte rimane in auge, non perché sia vera, ma perché rappresenta meglio di altre lo spirito del tempo: la rivoluzione attraverso la scienza-tecnica che aprirebbe la definitiva età del mondo.

Guardando alle società liberaldemocratiche dell’Occidente, l’umanesimo della persona deve affrontare temibili sfide che non provengono più dal marxismo, ma dall’involuzione del concetto di liberalismo e in specie di individuo, ridotto a esclusiva libertà di autodeterminazione, in cui l’altro è sentito come un limite. Il liberalismo, che da decenni si è trasformato in neoliberalismo e libertismo sul piano etico, e liberismo in campo economico, occupa tutta la scena. Le nuove versioni predominano in Occidente, e il loro richiamo alla persona e alla sua dignità è spesso di comodo per coprire altri cammini: le società liberali sono in crisi a motivo della loro concezione aggressiva dell’individuo autocentrato e del distacco dall’idea cristiana di persona. Definito dal principio dell’autonomia soggettocentrica, l’occidentalismo sposa non l’autolegislazione dell’imperativo categorico del dovere, quanto invece la ricerca di vitalità. Esso è inscrivibile entro il perimetro della volontà di potenza, intesa soprattutto come volontà di vitalità. Il suo stesso agnosticismo è in genere di tipo ludico o spensierato, lontano dall’ateismo tragico o prometeico. Il complesso etico-culturale dominante ha oggi come scopo la libertà e il benessere dell’individuo isolato, come contenuto il godimento del soggetto privato, come principio la sua volontà naturale, come conseguenza la crisi del bene comune.

L’obiettivo diventa la ricerca di un minimo comune denominatore etico, dove la vita morale si attesta su valori minimali: il reciproco non offendersi dei soggetti, il difendersi dall’altro, rinchiudendosi in se stessi senza dono solidale; il mettere tra parentesi l’interdipendenza e reciprocità degli uomini. Ogni uomo è un’isola. Il punto più critico della cultura e delle istituzioni liberali risiede dunque nella sfera etico-culturale: relativismo e vitalismo, l’autodeterminazione come valore in sé, l’autorealizzazione. Nel recente Il liberalismo e i suoi oppositori (2022) F. Fukuyama prende partito contro l’individuo egoista e l’io sovrano. La libertà dell’individuo è stata intesa in due modi: libertà economica e di proprietà che ha condotto a immense diseguaglianze, e libertà di autonomia individuale che mette a rischio l’idea stessa di società e di bene comune. Mi si perdonerà se ricordo un mio lavoro del 1991 (Le società liberali al bivio. Lineamenti di filosofia della società), in cui le deviazioni delle liberaldemocrazie erano tratteggiate, e nuovi cammini proposti. Un obiettivo primario dell’opera stava nell’intento di fermare il moto degenerativo delle idee liberali, e il declino intellettuale e religioso di tali società, imperniate sulla libertà parossistica del singolo, a sfavore di eguaglianza e solidarietà. Le società occidentali devono riformarsi profondamente, non solo per reggere il confronto geopolitico con le potenze autocratiche in crescita, ma soprattutto per essere sé stesse, correggendo i loro punti pericolosamente scoperti prima che si aggravino ulteriormente. Un motivo in più per rinnovare la via verso l’umanesimo del Verbum caro.

pasted-image.jpeg

Fonte: L’Osservatore Romano – 20 dicembre 2022

[L’articolo, in origine pubblicato con il titolo “Il cristianesimo è la vera strada per il rinnovamento dell’Occidente”, è qui riproposto per gentile concessione del direttore del quotidiano stampato nella Città del Vaticano]