Cronaca di una Breccia annunciata. Una raccolta di studi sulla “operazione Porta Pia”. L’intervento del Card. Parolin.

Riproponiamo lo stralcio, pubblicato ieri sull’Osservatore Romano, della prolusione del cardinale Segretario di Stato al libro La Breccia di Porta Pia. Raccolta di Studi nel 150° anniversario (1870-2020), a cura di Francesco Anghelone, Pierantonio Piatti ed Emilio Tirone (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2022, pagine 544, euro 30) presentato il 20 aprile scorso nell’aula Benedetto XVI del Pontificio Collegio Teutonico.  All’incontro hanno partecipato, tra gli altri, Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, il generale Fulvio Poli (Stato Maggiore dell’Esercito italiano), Paolo De Nardis (presidente dell’Istituto Studi Politici San Pio v), Francesco Bonini (rettore della Lumsa), Massimo De Leonardis (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) e Alberto Melloni (Fondazione per le Scienze Religiose Giovanni xxiii, Bologna). A poco più di novant’anni dalla firma dei Patti Lateranensi,  il volume illustra i diversi aspetti di un evento che mutò definitivamente il rapporto tra il Papa e il mondo: come mai prima, la figura del Romano Pontefice divenne quella del Padre universale, libero da ogni interesse particolare legato a un suo Stato, e proteso verso l’umanità tutta. La Chiesa nutriva la coscienza irrinunciabile di essere un soggetto giuridico internazionale; una concezione di sé non basata sull’idea di potere temporale, ma sulla natura stessa della Chiesa, sulla sua autorità spirituale sovrana, confermata dal consenso internazionale. 

Pietro Parolin

Un secolo e mezzo ci separa ormai dal 20 settembre 1870, che segnò la fine dello Stato Pontificio, iniziato con l’accordo di Quierzy, sottoscritto il 14 aprile 754 da Pipino il Breve, re dei Franchi, e Papa Stefano II .

Lo scopo della sovranità temporale del Papa era di assicurare la sua indipendenza da ogni potere politico, nonché la sua sicurezza in periodi della storia spessissimo segnati da lotte armate. Per questo motivo, l’episodio di Porta Pia non fu mai considerato dalla Santa Sede come un evento essenzialmente militare, ma fu piuttosto valutato per decenni come il simbolo di una lotta contro la Chiesa da parte di uomini ispirati da ideologie illuministiche antireligiose.

L’episodio di Porta Pia fu la conclusione di un processo sviluppatosi nei decenni precedenti e quindi non fu un evento capitato a sorpresa. Già il 27 maggio 1861, Cavour aveva esplicitamente dichiarato nel suo discorso al Parlamento che Roma doveva essere posta a capitale del nuovo Regno d’Italia, ma già alla metà del secolo numerosi tentativi di sovversione dell’ordine pubblico erano stati incoraggiati, favoriti, anzi promossi da elementi esterni allo Stato Pontificio.

Nel contesto del tempo, segnato da un anticlericalismo virulento, le affermazioni secondo le quali si protestava di voler garantire la libertà della Chiesa e l’indipendenza del pontefice da ogni potere civile, non sembravano affatto rassicuranti.

La frattura fra il neonato Stato e la Santa Sede culminò negli anni 1866-1867 con l’emanazione delle cosiddette leggi eversive, con cui sostanzialmente fu disposta la soppressione di ordini, corporazioni e congregazioni religiose regolari e secolari, con conseguente spoliazione dei beni. Ora, sia Pio IX , sia il cardinale Giacomo Antonelli, suo segretario di Stato, erano pienamente consapevoli della loro responsabilità dinanzi a Dio e dinanzi alla Storia: accettare che il Papa fosse materialmente soggetto al Regno d’Italia avrebbe significato infliggere un vulnus considerevole alla Chiesa e alla sua libertà, sarebbe stato offrire un buon motivo per sospettare il papa di agire per compiacere il Regno d’Italia e non per servire il bene comune della Chiesa universale e dell’umanità intera.

In questo senso, si deve leggere la risposta di Pio IX a re Vittorio Emanuele II , datata 9 settembre 1870, in cui il Papa scrisse: «Io non posso ammettere le domande espresse nella Sua lettera, né aderire ai principii che contiene. Faccio di nuovo ricorso a Dio, e pongo nelle mani di Lui la mia causa, che è interamente la Sua».

Alle ore 17.30 del 20 settembre, il comandante delle truppe pontificie Hermann Kanzler e il capo di Stato maggiore Fortunato Rivolta firmarono la capitolazione alla presenza del generale Cadorna.

È su richiesta di Pio IX che, il 21 settembre, il comandante italiano entrò nella Città Leonina allo scopo di prevenire possibili disordini. Il 27 settembre, l’esercito italiano prese possesso di Castel Sant’Angelo e da quel momento, il Papa non uscì più dal Vaticano.

Il primo novembre 1870, Pio IX inviò a tutti i vescovi del mondo l’enciclica Respicientes ea, nella quale denunciava i numerosi attentati alla sicurezza dello Stato e affermava di nuovo il suo rifiuto di accettare la spogliazione imposta con la forza delle armi.

Riferendosi all’esempio di Pio VII minacciato da Napoleone Bonaparte, Pio IX scriveva: «Noi riterremmo che non Ci fosse assolutamente lecito abbandonare un’eredità tanto sacra e tanto antica (…) né accettare con il silenzio che qualcuno s’impadronisse della principale città del mondo cattolico (…) introdurvi un codice contrario e ripugnante non solo ai sacri canoni ma agli stessi precetti evangelici; insomma, trasferirvi, come è d’abitudine, un nuovo ordine delle cose che tende palesemente ad uniformare e a confondere la Chiesa Cattolica con tutte le sette e superstizioni (…). Potevamo non rivendicare la libertà della Sede Apostolica, strettamente legata alla libertà ed alla utilità della Chiesa universale?».

Pio IX prosegue, manifestando la sua compassione per il popolo romano spaventato dalle violenze subite, ed esprime la sua indignazione di fronte agli insulti lanciati contro il Papa, alle ingiurie contro i soldati del Pontificio Esercito, di fronte agli attacchi contro la religione, allo scopo di corrompere le menti.

Deplora, il Papa, le violenze perpetrate contro cardinali e religiosi.

Ovviamente, queste violenze contro la religione rivelavano il vero scopo dell’invasione dello Stato Pontificio. Non si trattava soltanto di fare di Roma la capitale del Regno d’Italia, ma di combattere la religione cattolica.

Così il Papa, difensore dei diritti della Chiesa, giustifica il suo rifiuto di accettare la violenza subita, «al fine di non essere rimproverati di aver taciuto davanti a Dio e alla Chiesa e col silenzio Nostro aver prestato l’assenso a sì iniqua perturbazione di cose».

In una parola, il Papa denuncia ogni forma di usurpazione e dichiara: «Noi siamo in tale cattività da non potere affatto esercitare con sicurezza, speditezza e libertà la Nostra suprema autorità pastorale».

Nel ricercare una soluzione alla situazione ormai nota come Questione romana, il Parlamento del Regno d’Italia approvò, il 13 maggio 1871, la legge numero 214, detta «Legge delle Guarentigie», destinata a disciplinare i rapporti fra lo Stato italiano e la Santa Sede.

Nella sua prima parte, la legge tentava di garantire una certa indipendenza del Papa, della sua attività e degli organismi della Curia romana, mentre nella seconda parte venivano rimossi alcuni ostacoli, in particolare per quanto concerneva la nomina dei vescovi italiani.

La risposta di Pio IX non si fece aspettare: il 15 maggio seguente, il papa promulgava l’enciclica Ubi nos.

In sostanza, Pio IX scrive che non può accettare «alcuna conciliazione forzata che in qualche modo annulli o limiti i Nostri diritti, che sono diritti di Dio e della Sede Apostolica». Infatti, il Pontefice denunciava l’instabilità di queste guarentigie, fissate da una legge del Parlamento, che il potere politico aveva sempre la possibilità di modificare o di sopprimere unilateralmente, senza neppure consultarsi con la Santa Sede.

La posizione stessa del Papa rimaneva ambigua: godendo di personale immunità, egli rimaneva cittadino italiano e quindi suddito del re.

Pio IX evoca il caso di guerra e considera il Papa come soggetto al potere di un altro Principe, denuncia l’impossibilità per il Papa di «sottrarsi all’arbitrio del principe dominante, il quale potrebbe anche diventare eretico o persecutore della Chiesa, o trovarsi in guerra o in stato di guerra contro altri principi».

Pertanto, conclude Pio IX , invitando pastori e fedeli del mondo intero a pregare e operare «affinché siano restituiti a questa Santa Sede i suoi diritti e con essi la piena libertà al Capo Visibile della Chiesa e la desiderata pace al consorzio civile».