Gli uomini incaricati di risollevare il paese dalla tremenda condizione in cui versava dopo il secondo dopoguerra erano coloro che avevano ereditato le istanze del primo Risorgimento. Si trattava dei politici delle generazioni immediatamente successive, quelli cresciuti insieme alla giovane Italia, che pure nel 1915 aveva già conosciuto il dramma di un conflitto totale condotto con mezzi offensivi tanto moderni quanto micidiali. Trent’anni dopo, quando venne posta fine a vent’anni di dittatura e alla presenza sul territorio dell’occupante tedesco, quei ragazzi erano ora mai uomini maturi, anzi, all’epoca considerati addirittura anziani (benché alcuni di loro avessero meno di sessant’anni).

L’occasione per il confronto si presentò non appena in grado di istituire un ministero che rappresentasse tutte le forze politiche democratiche, le stesse che avevano partecipato attivamente alla lotta di Liberazione. Le posizioni pro o contro la corona, le critiche a Badoglio (“l’uomo dell’iprite”) giunte da ogni schieramento, la diversità di vedute circa la reintegrazione dei quadri superstiti del vecchio regime, le politiche da intraprendere in vista della ricostruzione economica, non impedirono a un gruppo di persone responsabili di promuovere il processo di normalizzazione.

L’abbandono delle pregiudiziali che avevano contraddistinto le linee da adottare insieme agli Alleati e le decisioni da intraprendere contro le ex forze dell’Asse determinò infatti la nascita del primo di una serie di esecutivi di unità nazionale: il governo presieduto da Ivanoe Bonomi, emanazione diretta del CLN.

Questo rappresentò il collante tra il potere legale dell’Italia libera e i movimenti legati alla Resistenza, che prima della fine del 1944 si avvalsero di un comando unificato. Rimaneva il problema della rappresentatività; Ferruccio Parri, leader di una formazione minore come il Partito d’Azione, mise tutti d’accordo, anglo-americani compresi. Così – dimessosi Bonomi per lasciare spazio a un personaggio di garanzia investito di un grande prestigio personale – il nuovo governo affrontò la fase 2 (parafrasi di una locuzione oggi assai nota), caratterizzata dai provvedimenti in materia di fiscalità (che colpirono in modo impietoso i grandi capitali) e dall’aiuto alle piccole e medie imprese. Tuttavia – quod erat demonstrandum – diverse di quelle decisioni trovarono contraria una parte dello schieramento, in questo caso il Pli, il quale ritirò la fiducia alla maggioranza provocandone la caduta. Poco male, era la democrazia. 

Alla fine del 1945 la Dc impose la candidatura di Alcide De Gasperi, simbolo della posizione di forza acquisita dal partito cattolico e di una svolta in senso moderato rivelatasi immutabile nei decenni a venire. Con Togliatti Ministro della Giustizia si concretizzava un nuovo bilanciamento politico di attribuzioni, emblema della partecipazione al terzo governo di unità nazionale della maggioranza delle forze facenti capo ai movimenti antifascisti. Un risultato conseguito laddove la confluenza di gruppi riconducibili al liberalismo progressista, al social-comunismo e alle formazioni cattoliche destinate a raccogliere l’eredità del partito popolare, riuscì a dare luogo a una svolta, la quale ebbe il significato (anche) di un patto sociale. Era l’affermazione di quegli uomini di stato che non intendevano cavalcare le ondate (fisiologiche) di risentimento determinate dalle nuove scelte dell’esecutivo. Per non rompere, nel modo più assoluto, la solidarietà di governo imposta dalla grande emergenza e dalla necessità di ripartire.