Arnaldo Benini: “Il mondo si percepisce, il tempo si sente”.

Arnaldo Benini è professore emerito di neurochirurgia e neurologia dell'Università di Zurigo. È stato primario di neurochirurgia alla Schulthess Klinik di Zurigo. Tra le sue pubblicazioni in italiano, ricordiamo, per Garzanti, Che cosa sono io. Il cervello alla ricerca di Sé stesso (2009) e La coscienza imperfetta. Le neuroscienze e il significato della vita (2012); per Raffaello Cortina Neurobiologia del tempo (2017) e il recente La mente fragile. L'enigma dell'Alzheimer (2018). Collabora alle pagine di Scienza e filosofia dell'edizione domenicale del Sole24Ore e alla pagina culturale del Corriere del Ticino.

Professor Benini, il suo libro in edizione aggiornata, “Neurobiologia del tempo” si propone di offrire – come si legge nell’ introduzione – un resoconto di ciò che si sa della natura del tempo. Una questione ostica persino a S. Agostino,  che non sapeva darne spiegazione. Perché il tempo è una materia così complessa?

Il tempo è una delle dimensioni essenziali della vita, anche se non si vede, non si tocca, non si annusa, non si sente come si sente un suono. Da qui la difficoltà, o l’impossibilità, durata due millenni, di capirne la natura. Il vuoto concettuale favorì la fantasia e la  varietà di ipotesi e supposizioni sulla natura del tempo prive di concretezza. Per secoli ne hanno parlato  filosofi e teologi, poi i fisici, senza mai chiedersi, nemmeno ora, che cosa il tempo sia e da dove venga. La famosa controversia fra Newton e Leibniz era di carattere religioso e non scientifico. Immanuel Kant ha individuato la natura del tempo considerandolo “una forma del nostro senso interno”, a priori rispetto all’esperienza e alla realtà. Per lui il tempo è una proprietà del corpo e non del mondo. Pochi decenni dopo, nel 1849, lo scienziato tedesco Hermann von Helmholtz, profondo studioso di Kant,  con un esperimento semplice e geniale, scoprì la natura nervosa del tempo con le caratteristiche che determinano il rapporto della coscienza col mondo e con l’interiorità. L’a priori, che non è un tempo psicologico ma rigorosamente fisiologico, fu localizzato da von Helmholtz in meccanismi del cervello. Essi si sono sviluppatisi con l’evoluzione e sono trasmessi da una generazione all’altra. Kant, che di cervello non parla, pose il fondamento concettuale sul quale si svilupperà la neuroscienza del tempo. Non a caso nell’800 Kant era considerato “l’uomo dei fisiologi”.

Albert Einstein  scrisse che  “la separazione tra passato, presente e futuro è una tenace illusione”.       Perché la fisica nega il tempo mentre le neuroscienze ne descrivono natura e meccanismi?

Einstein e i fisici, a partire dall’inizio del secolo scorso, parlano del tempo o per negarlo, in base a complesse equazioni di cui si loda la “bellezza” e non la congruenza con la realtà, o per attribuirgli caratteristiche impossibili da  verificare e quindi gratuite. Che il tempo rallenti con l’aumento della velocità, e alla velocità della luce si fermi è indimostrabile. Se uno di due gemelli rimane tranquillo a casa e l’altro gira attorno al mondo alla velocità della luce, quando torna sarebbe molto più giovane del fratello sedentario. In realtà si è visto che il tempo rallenta con la velocità, ma a rallentare non è il tempo, che è nel cervello, ma gli orologi che lo misurano e che risentono la gravità e la velocità. La caratteristica del tempo come quarta dimensione dello spazio, della quale lo stesso Einstein per tutta la vita non riuscì a convincersi, è priva di senso: non spiega né il tempo né lo spazio. Il filosofo della fisica Craig Callender sostiene che un mondo senza tempo è “una realtà che fa sbigottire”. Negli ultimi tempi alcuni fisici, fra i quali emerge il fisico quantistico Lee Smolin, sostengono che il tempo deve ritornare nella fisica, che altrimenti corre il rischio dell’irrilevanza, come già paventato dal fisico John Stewart Bell. La fi-sica Sabine Hossenfelder, in un recente libro, riferisce i colloqui con fisici eminenti, che parlano delle difficoltà della fisica per la sua distanza dal mondo. I fisici non si sono mai interessati alla neuroscienza del tempo. Tranne poche eccezioni, continuano ad ignorarla, nonostante i risultati e i dati d’enorme interesse che ha fornito e fornisce. Una situazione paradossale e senza precedenti nella cultura.

 In realtà abbiamo una percezione del tempo che trascorre e segna la scansione della nostra stessa vita: “tempora mutantur et nos mutamur in ilis” ma ci riesce difficile renderla un’idea spiegabile.

La neurobiologia del tempo, nonostante i molti aspetti ancora non chiariti, ha dimostrato oltre ogni dubbio che il senso del tempo è prodotto da meccanismi nervosi sparsi in tutto il cervello. Il cervello è la macchina del tempo. La biologia comparata, con ricerche molto sagaci, ha dimostrato che tutti gli esseri viventi con sistema nervoso, anche minuscolo come quello di api e formiche, hanno un senso del tempo che, pur non essendo numerico come quello umano, è molto preciso. Se api e formiche non l’avessero, non potrebbero condurre la loro meravigliosa e disciplinata vita sociale. Ciò vale anche per il senso dello spazio e della causalità, anch’essi a priori e non frutto dell’esperienza. Il senso del tempo è un complicatissimo traliccio nervoso, a priori come capì Kant, nel quale viene collocata sia l’esperienza del mondo, con i dati forniti dagli organi di senso, che quella dell’interiorità (pensieri, riflessioni, stati d’animo, ecc.) Il tempo non si percepisce, come percepiamo un suono o un colore, ma si sente. Il mondo si percepisce, il tempo si sente. Da Von Helmholtz in poi sappiamo che il senso del tempo è un prodotto del cervello, con diverse analogie fisiologiche con l’altro suo prodotto che è il linguaggio.

Le neuroscienze hanno dimostrato che il senso del tempo è reale ed è un evento della coscienza. Quanto è importante la coscienza per giungere ad una definizione del senso del tempo?

Il senso del tempo non si definisce, si descrive, ed è un evento della coscienza. Anche il fisico Richard Feynman diceva  che il tempo non si definisce ma si misura, senza considerare che ciò che si misura deve pur esistere. L’orologio segna il tempo, quello oggettivo, ma solo quando il dato dell’orologio diventa evento della coscienza di chi lo guarda acquista significato. I meccanismi nervosi del senso del tempo sono attivi anche durante l’incoscienza del sonno, per cui quando ci si sveglia si sa più o meno che ora sia. Agli interessanti e recenti studi sul senso del tempo durante il sonno è dedicato un capitolo.

Ogni domanda sul senso del tempo rischia di essere tautologica: tuttavia possiamo dire che è risolto il dubbio se esso sia una caratteristica dell’Universo  che noi percepiamo oppure un’impalcatura di meccanismi cerebrali, nei quali è inserita la realtà, anche quella della vita mentale. Già Galilei, ripreso esplicitamente ed ampiamente da Kant, aveva intuito il ruolo centrale dei meccanismi innati della conoscenza, anche se non disponeva dell’evidenza sperimentale.

Galileo, nel Saggiatore, non parla del tempo ma del suono, che se non c’è qualcuno che l’ascolti non esiste. Esso è un movimento d’aria, che diventa suono nelle aree cerebrali della percezione acustica. Kant cita ampiamente Galileo per spiegare gli a priori (tempo, spazio, causalità), che sono meccanismi della nostra interiorità attraverso i quali entriamo in contatto col mondo. La realtà che percepiamo è sempre e solo un’interpretazione cerebrale. La domanda sul senso del tempo non corre più il rischio d’essere tautologica, nel senso che il tempo è il tempo. Le neuroscienze cognitive dimostrano che il tempo è un prodotto del cervello. Il tempo oggettivo è quello dell’orologio, uguale per tutti, il tempo soggettivo, fenomenologico, è il tempo della vita, diverso a seconda delle circostanze. Entrambi sono prodotti dal cervello, il primo con i centri della razionalità, prevalentemente presenti nell’emisfero sinistro, l’altro con quelli dell’affettività, propri di quello destro.

Oltre al tempo oggettivo e a quello soggettivo, esiste un tempo lineare dove collochiamo gli eventi che si succedono e un tempo circolare e ciclico che segue gli eventi che si ripetono e le alternanze biologiche della vita. In che misura questi modelli di tempo sono prodotti dal cervello?

Il tempo lineare e quello ciclico non sono alternativi al tempo soggettivo ed oggettivo. Tutti i “modelli” del tempo sono creati da meccanismi nervosi, selezionati nel corso dell’evoluzione secondo le esigenze delle specie e il rapporto con l’ambiente. Solo nell’uomo, in età relativamente recente, il senso del tempo ha acquisito il valore numerico. La necessità dell’ordine sociale ha portato il cervello a sviluppare i marchingegni degli orologi, che misurano il tempo assoluto, senza il quale la società contemporanea crollerebbe o, meglio, non sarebbe mai nata. Da quando il tempo è misurato, ha acquisito un valore economico enorme.

La ripartizione fenomenologica di Ernst Pöppel distingue cinque esperienze coscienti del tempo:  durata, simultaneità e successione, sequenza degli eventi, senso del presente, anticipazione del futuro. Esse  conferiscono alla coscienza una facoltà ordinativa del tempo.  Risulta  interessante il paragrafo della simultaneità illusoria e quello della compressione del tempo secondo i diversi meccanismi: trattandosi di una funzione soggettiva è interessante notare come varia il senso del tempo rispetto all’età o con riguardo a quelli che Lei definisce “cervelli ammalati”.

Il grande fisico John Arcibald Wheeler sostiene che il senso del tempo impedisce che tutto succeda contemporaneamente. L’ordine temporale c’è anche nella successione degli eventi che si sognano, cioè nell’incoscienza del sonno. I centri del tempo lavorano anche senza che i centri della coscienza siano attivi. Circa la simultaneità: Hermann von Helmholtz scoprì l’illusione della simultaneità fra arrivo di uno stimolo e la sua percezione cosciente: i meccanismi cerebrali impiegano da un terzo ad un mezzo secondo prima di rendere cosciente ciò che gli organi di senso o i meccanismi dell’interiorità trasmettono alle aree cerebrali della coscienza. Di quel tempo, che von Helmholtz chiamò, decenni prima di Proust, con le parole francesi temps perdu non abbiamo coscienza, e quindi, diceva von Helholtz, i nostri pensieri sono più lenti di quel che crediamo. Se siamo toccati nello stesso istante in faccia e in un piede l’illusione della simultaneità rispetto ai meccanismi nervosi che ci rendono coscienti di quell’evento è doppia: il tempo impiegato dallo stimolo che parte dal piede arriva al cervello dopo aver percorso i nervi della gamba, il midollo spinale e il tronco encefalico, mentre dalla faccia al cervello il percorso è molto più breve; eppure la percezione è simultanea, e avviene circa mezzo secondo dopo l’evento. Tutto quel tempo viene, come oggi si dice, “compresso” ed è perdu per la coscienza e per la memoria. Il presente, ha scritto il grande neurofisiologo Gerald Edelman, è remembered, ricordato, perché lo avvertiamo dopo il tempo perdu, cioè quand’è già passato.  Il cervello può manipolare il senso del tempo perché lo crea. 

Quali sono, a suo parere, i prossimi passi della ricerca  della neurofisiologia del tempo?

Oggi si lavora per localizzare, all’interno del cervello, i vari meccanismi del tempo oggettivo e di quello fenomenologico e i rapporti con i centri della coscienza e del sistema limbico dell’affettività. Recenti studi hanno mostrato dove venga memorizzata la categoria del tempo di un evento, accanto all’area della memoria spaziale. Lo studio del senso del tempo negli animali, di cui nel libro si portano diversi esempi sorprendenti, comprende animali con sistemi nervosi minuscoli e cervelli sviluppati: entrambi sono straordinariamente esatti.