In base al rapporto di collaborazione tra le due testate, Il Domani d’Italia e Orbisphera, pubblichiamo il testo integrale dell’editoriale di Antonio Gaspari, direttore di Orbisphera.

Un progetto per smantellare le armi atomiche, usare il combustibile nucleare per produrre energia ad uso civile e destinare le risorse a microprogetti per lo sviluppo sostenibile nei Paesi poveri.
Questo è quanto propone da anni il Comitato per una civiltà dell’amore (www.civiltadellamore.org), un’associazione formata da Professionisti Volontari impegnati ad aiutare gli altri praticando carità, generosità e solidarietà.
Il Comitato è noto per aver svolto campagne benemerite a favore delle popolazioni del Sud del Mondo, tra le quali: “Contro la Fame Cambia la Vita”, “Adotta un papà nel Sud del Mondo”, “Nuclear for Peace”, “Adoption no Abortion”.
Il Comitato ha inoltre promosso 23 micro progetti di sviluppo nelle Missioni di oltre 40 nazioni povere del mondo.
In piena coerenza con l’aforisma di Nelson Mandela adottato dall’associazione – “Tutte le cose sono impossibili finché non vengono fatte” – il Comitato per una civiltà dell’amore ha organizzato il 12 marzo un convegno sul tema: “Dalla conversione delle armi nucleari alla sconfitta della fame nel mondo”.
Il convegno si svolto in modalità webinar dal Sacro Convento di S. Francesco ad Assisi.
L’ingegnere nucleare Giuseppe Rotunno, cofondatore dell’associazione, ha spiegato che «oggi ci troviamo nella situazione storica di avere tante testate nucleari che potrebbero distruggere il mondo. Ma possiamo eliminarle convertendole definitivamente in energie di pace».
Rotunno ha proposto di realizzare un piano di disarmo per convertire 50.000 bombe nucleari (13.400 pronte più almeno 37.000 negli arsenali) in combustibile fissile da utilizzare per alimentate i 300 impianti per la produzione di energia elettrica già esistenti.
Secondo Rotunno, il combustibile nucleare che passa dalle bombe all’uso civile vale 75 dollari per MegaWatt ora (Mwh).
In questo modo si potrebbero risparmiare più di 800 miliardi di dollari per la produzione di energia elettrica nei prossimi cinquant’anni.
I primi 300 miliardi dollari, qualora venissero impiegati per realizzare progetti di sviluppo sostenibile, sarebbero sufficienti ad alimentare i circa 800 milioni di persone che oggi soffrono la fame nel mondo.
In questo modo la minaccia di “apocalisse nucleare” verrebbe cancellata, i missili nucleari smantellati e la fame vinta.
Al convegno è intervenuta anche Simona Beretta, docente di Economia internazionale, responsabile del Master ASERI – Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
La Beretta è consultore del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e membro del Comitato scientifico delle Settimane Sociali dei cattolici italiani.
Per sradicare la fame nel mondo, la Beretta ha invocato la mobilitazione degli “artigiani di pace” affinché, come ha detto Papa Francesco, sia possibile lo sviluppo umano integrale e il pieno esercizio della dignità umana.
La professoressa Beretta ha spiegato che serve la complementarietà tra finanza pubblica e privata, interna ed internazionale. La centralità della finanza pubblica è necessaria per la produzione di beni e servizi pubblici essenziali, come la salute e l’educazione. E occorre inoltre una lotta coordinata a livello internazionale contro i flussi finanziari illegali.
I benefici attesi dal disarmo sarebbero anche di carattere economico, grazie soprattutto alla riduzione della spesa pubblica militare e di sicurezza nazionale.
La Beretta ha sostenuto che, per consolidare il dialogo internazionale, il negoziato per il disarmo e il processo di pace, è necessario «un lavoro di comunicazione e di pressione sui grandi decisori, pubblici e privati, insieme ad un lavoro capillare di educazione alla pace e allo sviluppo».
Per comprendere quanto le guerre influiscano sulle condizioni di povertà, la professoressa ha ricordato che la grande maggioranza delle persone in situazione di malnutrizione e di insicurezza alimentare cronica (489 milioni su 815 milioni nel 2017) vive in Paesi dove sono in corso conflitti armati.
Inoltre una persona ogni 113 è un rifugiato, un richiedente asilo o uno sfollato. In media, la permanenza in un campo di rifugiati/sfollati è di 17 anni.
La professoressa ha però aggiunto che mettere le persone al centro dei processi di sviluppo è diventato un messaggio che s’incontra sempre più frequentemente, anche in ambiti insoliti.
La “Community Driven Development”, per esempio, è una linea di intervento che sta assumendo crescente importanza nelle attività della Banca Mondiale, specie in condizioni di emergenza e di conflitto.
Le istituzioni di cooperazione allo sviluppo, per avere più efficacia in condizioni di emergenza, si appoggiano alle comunità locali, anche perché non esistono alternative affidabili. Tuttavia questo è possibile solo se le comunità locali sono già esistenti come soggetti organizzati, formalmente o per consuetudine.
Simona Beretta ha concluso il suo intervento citando papa Francesco che, nell’enciclica “Fratelli tutti”, invita a «superare le politiche sociali concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli…».
«L’opzione per i poveri – ha sottolineato il Santo Padre – deve portarci all’amicizia con i poveri».