Il confronto Ortolina-Tarquinio, riproposto ieri da “Il Domani d’Italia”, sulle affermazioni di Gramellini a proposito di De Gasperi “uomo di destra liberale”, offre notevoli spunti di riflessione. Per De Gasperi parla la storia, anche quella “parlata”, nel senso di testimonianze orali e scritte.

Ne ho ritrovata una che Andreotti pronunciò a Milano, in occasione dei cinquant’anni dal decesso, per il ciclo delle iniziative della Fondazione De Gasperi. Andreotti metteva in evidenza lo stretto collegamento tra politica estera e politica interna nell’opera dello statista trentino. Fondamentale la concezione di un Patto Atlantico collegata alla costruzione dell’Unione Europea, superando le resistenze di ambienti cattolici contrari a patti militari grazie al colloquio dell’ambasciatore Tarchiani, azionista, non uno “della nostra parrocchia”, con Pio XII.

Poi il riformismo, con una socialità vera e concreta, con iniziative sociali come la riforma fondiaria, spezzando il latifondo, e la Cassa per il Mezzogiorno, per superare i divari nord-sud, tutte cose che toccavano grandi interessi. Se ne ebbe prova con il calo di voti nel 1953. Non va dimenticato, a tale proposito, il ruolo degli agrari nell’avvento del fascismo.
Inoltre aggiungiamo il metodo democratico, nel significato più proprio, ovvero come metodo incentrato sul criterio che le regole non possono essere aggirate. Il concetto di De Gasperi era quello presente nella Bibbia: “Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva”.

Va detto con chiarezza che De Gasperi respinse sempre le spinte della destra, non propriamente malagodiana, ma più ben più accentuata e aggressiva. Respinse anche le suggestioni antidemocratiche di alcune strutture dello Stato che temevano di non riuscire a fronteggiare i comunisti con mezzi ordinari. C’era il cruccio del 1922, quando si produsse inusitatamente la sconfitta del metodo democratico proprio perché in tanti si erano illusi di potere far cadere il governo in Parlamento dopo la Marcia su Roma.
De Gasperi, uomo delle coalizioni, fu abbandonato dai suoi alleati – da Saragat e dagli altri – nelle elezioni del 1953. E quando fece un estremo tentativo di ricomporre il quadripartito, chiedendo ai monarchici una non belligeranza sotto forma di astensione, la risposta fu No. Andreotti riporta un giudizio di Achille Lauro su De Gasperi: “È veramente ‘sta persona così importante? Ma è uno che ha più di 70 anni e non ha una lira?”. Un giudizio incongruo, senza dubbio, che a tutti sembrò il modo migliore di elogiare la personalità di De Gasperi.

Vorrei concludere con una bella frase di Giorgio Rumi, storico cattolico di affinato ingegno, sull’uomo della Ricostruzione: “De Gasperi era il presidente del Consiglio di tutti, compresi i liberali, gli azionisti, i socialisti, i comunisti, con un senso di uomo di tutti, di uomo che ha tale funzione, in cui il partito, la fazione, la corrente, il raggruppamento ecclesiale non vincono mai su questa signoria della coscienza, senza paraventi e difese se non la dignità”. È un grande insegnamento di cui possiamo e dobbiamo far tesoro ai giorni nostri.